Il diktat dei franco-indiani è durissimo e l'esecutivo si trova di fronte a una sfida proibitiva. Il premier: "Il Paese regga l'urto, le iniziative della società sono molto preoccupanti. È allarme rosso. Incontreremo di nuovo l'azienda tra 48 ore, giovedì convochiamo i sindacati". Patuanelli: "Il piano industriale è stato proposto in una gara ad evidenza pubblica nel 2017. Incapaci di rispettarlo". Fiom-Cgil e Uilm proclamano sciopero per l'8 novembre
La crisi dell’Ilva è da “allarme rosso” e il governo dovrà fronteggiare una giravolta di ArcelorMittal che, a un anno dagli impegni assunti, ha messo sul piatto richieste pesantissime per non riconsegnare le chiavi dell’acciaieria di Taranto. In primis 5mila esuberi, cioè la metà del personale riassunto. Un diktat “inaccettabile”, dice il premier Giuseppe Conte, assicurando che il governo è “unito e coeso” di fronte a una situazione da “allarme rosso” perché “le iniziative della società sono molto preoccupanti”. Ma l’esecutivo è intenzionato a mantenere il punto. Da un lato, l’apertura: “Abbiamo detto che siamo disponibili a una nuova immunità penale. Ci è stata rifiutata”. Dall’altra il chiarimento: “Il tema non è lo scudo. Il problema è industriale, ArcelorMittal ritiene che l’impianto produttivo, a questi livelli, non è sostenibile e non può mantenere i livelli occupazionali”. Quindi l’attacco: “Per noi non è accettabile lasciare 5mila famiglie senza un lavoro e un futuro. Siamo disponibili a lavorare e a tenere aperto un tavolo negoziale. Ma la riduzione dei livelli occupazionali o la riconsegna degli impianti sono inaccettabili”. E anche un appello: “Qui dobbiamo alzare la posta in gioco, dobbiamo alzare il nostro orizzonte d’osservazione. Questo Paese non si lascia prendere in giro. Questo è un Paese serio. L’Italia sia compatta e regga l’urto di questa sfida”.
Le richieste di ArcelorMittal
Ovvero le richieste presentate dal presidente e ceo Lakshmi Mittal e il figlio Adyta: cinquemila esuberi e anche una norma ad hoc per ‘tenere in vita’ l’altoforno 2 che rischia di essere spento dalla magistratura. Queste le tre condizioni per non disimpegnarsi dal rilancio dell’acciaieria più grande d’Europa, lasciando il governo tra meno di un mese con 10.777 operai sul groppone e le società del gruppo che fu della famiglia Riva da ri-piazzare a un privato. Una sfida proibitiva per l’esecutivo, perché significherà conciliare, nei fatti, le minacce del colosso franco-indiano della siderurgia, totalmente in contrasto con gli impegni assunti appena un anno fa, e le idee finora non coincidenti all’interno della maggioranza sulle tutele legali. E contestualmente dover gestire la richiesta di una maxi cassa integrazione per la metà delle persone riassunte nel novembre 2018.
Patuanelli: “Loro incapaci di rispettare i piani”
Una marcia indietro dell’azienda di fronte alla quale il governo sembra intenzionato a non cedere. Il ministro Stefano Patuanelli è chiarissimo: “Questa è una vertenza industriale, ArcelorMittal ce lo dice dal 12 settembre. Anche risolto tutto il resto, loro mettono sul tavolo la produzione a 4 tonnellate e 5mila persone in meno. Avrebbero dovuto produrre 6 milioni di tonnellate fino al 2023 per poi arrivare a 8. È evidente che sono loro ad essere incapaci di rispettare il piano industriale”, punge in riferimento alle accuse dei franco-indiani contenute nella lettera di recesso e nella citazione in tribunale. Non è l’unico elemento di preoccupazione: “Se non si produce, non si investe sul piano ambientale”. Per questo, aggiunge il ministro, “ci siamo detti disponibili anche ad accompagnare la situazione attuale, legata alle tensioni commerciali e alla crisi dell’automotive, questioni contingenti”. Insomma, l’esecutivo è disposto a prorogare la cassa integrazione ordinaria – già chiesta e ottenuta da luglio – per circa 1.300 operai. “Ma loro sono stati chiari: la riduzione della produzione è strutturale. Per noi è inaccettabile – ha concluso Patuanelli – Il piano industriale di ArcelorMittal è stato proposto in una gara ad evidenza pubblica nel 2017 e sono entrati sostanzialmente un anno fa”.
La giornata di Conte e le 48 ore ad Arcelor
La giornata di Conte è stata lunghissima e si è chiusa con un Consiglio dei ministri fiume, durato oltre 3 ore, che all’ordine del giorno non aveva la questione Ilva ma è ruotato tutto attorno all’emergenza Taranto. Un ‘gabinetto di guerra’ perché le soluzioni vanno trovate in fretta e il governo ha già detto ai Mittal che il prossimo incontro si terrà tra 48 ore, mentre già giovedì verranno convocati i sindacati. In mattinata era partito l’ennesimo pressing dell’azienda che prima di entrare a Palazzo Chigi ha ufficializzato l’apertura della procedura ex articolo 47. In sostanza, ha avvisato i commissari di riprendersi gli impianti e tutti i dipendenti. Quindi il faccia a faccia al quale si sono presentati Lakshmi Mittal e il figlio Adyta. I proprietari sono scesi in campo in prima persona, lasciando fuori dalla porta perfino l’amministratore delegato Lucia Morselli, scelta appena 3 settimane fa proprio per gestire la fase più delicata della loro avventura in Italia.
Tutte le richieste di Mittal
Di fronte ai rappresentanti del governo i proprietari di ArcelorMittal hanno messo in fila le loro richieste: tagli draconiani sui lavoratori con la richiesta di 5mila esuberi, quasi la metà dei riassunti a tempo determinato (l’azienda è in affitto), perché la produzione sarà abbassata a 4 milioni di tonnellate dalle 6 previste lo scorso anno; il ritorno dello scudo penale per evitare guai giudiziari durante l’attuazione del Piano Ambientale e un provvedimento che permetta di tenere in vita l’altoforno 2, a rischio spegnimento da parte della magistratura il prossimo 13 dicembre per il mancato adeguamento imposto dai giudici già dal 2015. In sostanza, una riscrittura del contratto firmato un anno fa e una blindatura sotto il profilo legale. Altrimenti l’azienda andrà avanti con il recesso e lascerà gli impianti a inizio dicembre.
Lo sciopero di Fiom e Uilm
L’addio lascerebbe il governo con il cerino in mano e una situazione occupazionale che si preannuncia esplosiva. I sindacati sono già sul piede di guerra, pur non procedendo compatti. La Fim-Cisl, a vertici in corso, si è mossa autonomamente con uno sciopero immediato che ha trovato un’alta adesione tra gli 8.200 operai di Taranto. E in serata è toccato a Fiom e Uilm che hanno proclamato una nuova giornata di astensione dal lavoro per l’8 novembre con una manifestazione a Roma “per salvaguardare il futuro ambientale e occupazionale del territorio ionico” e “di fronte all’arroganza” di ArceloMittal e “ad una totale incapacità ed immobilismo della politica”.