È un interrogativo che accompagna l’uomo da secoli. Il matematico e fisico britannico Roger Penrose, famoso per i suoi studi sull’universo, nel libro ‘La mente nuova dell’imperatore’ ne attribuisce le origini a una sorta di salto quantico dei neuroni, legato alle leggi che governano il mondo dell’infinitamente piccolo, dominato da atomi e particelle. Rita Levi Montalcini, nel suo volume ‘La galassia mente’, lo descrive come l’ultimo grande mistero e la principale sfida della biologia del terzo millennio. Ma qual è l’origine della coscienza?
A questo interrogativo, vecchio quasi quanto l’uomo, cerca adesso di trovare una risposta un progetto di ricerca internazionale finanziato dalla fondazione Templeton World con venti milioni di dollari, e presentato nei giorni scorsi al congresso della Società per le neuroscienze di Chicago. Coinvolge più di 500 ricercatori di Usa, Germania, Regno Unito e Cina, guidati dall’italiana Lucia Melloni, del Max Planck Institute for Empirical Aesthetics di Francoforte.
Il progetto di ricerca è concepito come una vera e propria sfida tra teorie contrapposte, dove quelle bocciate dai dati dovranno essere messe da parte, e i loro sostenitori ammettere la propria sconfitta. I test verranno condotti su volontari. La loro attività cerebrale sarà analizzata in tempo reale, grazie a immagini catturate con sofisticate tecniche come la risonanza magnetica funzionale, o l’elettrocorticografia, una sorta di elettroencefalogramma della corteccia cerebrale.
Una delle principali questioni che dividono gli scienziati è se la coscienza sia un semplice sottoprodotto dei processi di elaborazione dell’informazione, e quindi in teoria riproducibile anche su un computer. O se, invece, derivi da caratteristiche peculiari del cervello. Sia, quindi, letteralmente nascosta tra le pieghe dei neuroni. In particolare, tra i binari delle cellule nervose, i microtubuli. Come sostiene il cosmologo Penrose che, insieme al medico anestesista americano Stuart Hameroff, ha pubblicato uno studio sulla rivista Physics of Life Reviews, in cui ipotizza che siamo vicini a provare sperimentalmente l’origine quantistica della coscienza. Proprio grazie alle ricerche sui microtubuli, sui quali agiscono i principi attivi di molti anestetici.
Nel nuovo studio internazionale, invece, tra le ipotesi da mettere alla prova ci sono quelle di Stanislas Dehaene, del Collège de France di Parigi, e dell’italiano Giulio Tononi, che fa ricerca negli Stati Uniti presso l’University of Wisconsin-Madison. Secondo la teoria di Dehaene, un ruolo importante sarebbe svolto dalla corteccia prefrontale del cervello, che controlla i processi cognitivi più complessi. Sarebbe la corteccia prefrontale a raccogliere le informazioni sensoriali, organizzandole secondo una scala di priorità, prima di trasmetterle alle aree cerebrali esecutive. In base a questa ipotesi, la coscienza consisterebbe proprio in questo processo di selezione. “È un po’ come se in una stanza al buio illuminassimo con una pila una sedia, e in quel momento diventassimo consapevoli della sua esistenza”, spiega Carlo Miniussi, direttore del Centro mente e cervello dell’Università di Trento.
Stando all’ipotesi di Tononi, invece, la coscienza prenderebbe forma dalle connessioni cerebrali. Più numerosi sono i neuroni che interagiscono tra loro, maggiore sarebbe il senso di coscienza percepito, anche senza input sensoriali. Un processo che, secondo lo studioso italiano, avverrebbe non nella corteccia prefrontale, bensì nella parte posteriore del cervello. La sfida è, quindi, lanciata. E, conclude Miniussi, “anche se è difficile che questo studio possa dirimere la questione, sicuramente aumenterà le nostre conoscenze sui processi cognitivi”.