Il piano di Acciaitalia, il consorzio che perse la gara per l’ex Ilva, “è stato giudicato migliore per piano industriale e piano ambientale”. Ma “la cordata guidata da ArcelorMittal ha vinto perché è stata ritenuta migliore la sua offerta” nella “parte relativa al prezzo”. Così il ministro dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli, ha spiegato davanti alla Camera come si risolse la battaglia per aggiudicarsi l’acciaieria più grande d’Europa. Una vicenda che Ilfattoquotidiano.it svelò due anni fa, raccontando come la relazione dei tecnici dei commissari straordinari stroncava come “incoerente” il piano del colosso franco-indiano: sostanzialmente, a fronte degli investimenti previsti, era impossibile raggiungere i livelli produttivi previsti. Alla fine, i Mittal riuscirono comunque a prendersi l’ex gruppo Ilva perché Acciaitalia, all’epoca guidata da Lucia Morselli che oggi è a capo di Arcelor, offrì 600 milioni di euro in meno.
“Ieri i rappresentati di ArcelorMittal ci hanno detto chiaramente che non sono in grado di portare a termine il loro piano industriale per rilanciare l’Ilva”, ha riferito il ministro dello Sviluppo Economico in Aula sottolineando come si tratti dello stesso piano con il quale hanno vinto la gara. “Non può pensare di sottoscrivere un accordo e disattenderlo dopo dieci mesi, i commissari avevano ottenuto risultati migliori, quell’impresa non aveva intenzione di fare produzione”, ha aggiunto. Ma per il governo, ha spiegato, parlare di Ilva significa parlare “della strategia industriale del nostro Paese” e quindi ha assicurato che l’esecutivo “parla con una voce” sola: “Pensare alla chiusura dello stabilimento Ilva ha un’immediata ricaduta sociale, ma ha anche un’immediata ricaduta su tutti i settori italiani legati all’acciaio, non avere l’Ilva significa non avere un piano industriale serio per il Paese”.
Il ministro si è a lungo soffermato anche sulla nascita, il prolungamento dal 2019 al 2023 e la successiva abolizione dell’immunità penale. Nel ripercorrere l’iter dello scudo che ha difeso commissari e acquirente dai processi, abolito tra le contestazioni di ArcelorMittal, Patuanelli ha detto che l’azienda era a conoscenza della scadenza della “protezione legale” al marzo 2019, nonostante questo pur “auspicando” in una nota “che si risolvesse la criticità” della mancata estensione scudo fino al termine dell’esecuzione del piano ambientale nel 2023, “presentava offerta irrevocabile” e “palesava quindi di aderire alla misura restrittiva” relativa alla protezione legale.
E in ogni caso, ha ribadito, il recesso attivato da ArcelorMittal “sarebbe giustificato solo da provvedimenti giudiziari o amministrativi che comportino l’annullamento parziale o totale del piano ambientale che rendano impossibile l’esercizio dello stabilimento”. Ma un intervento normativo “come l’eliminazione della tutela penale non modifica il piano ambientale”, ha chiarito. E né il decreto Crescita che lo ha cancellato né l’eliminazione del mini-scudo dal decreto Salva Imprese hanno “comportato una modifica del piano ambientale o del Dpcm 2017, elemento necessario per far insorgere il recesso”. In sostanza, nella sua informativa, Patuanelli ha confermato l’orientamento del governo: l’azienda non ha i presupposti per l’addio.
“A prescindere da tutte le evidenze collaterali e anche risolte quelle, Arcelor Mittal non si impegna a produrre più di 4 milioni di tonnellate e chiede 5mila esuberi”, ha ricordato. “Questo il governo non può accettarlo”, ha commentato. Poi l’appello di fronte ai parlamentari: “Chiedo un atto di responsabilità a tutte le forze politiche per risolvere questa vertenza con il sistema Paese. La politica non va fatta con tweet, ma con serietà, noi ci mettiamo la faccia. Ma la risposta deve essere unitaria e univoca. Negli altri Paesi si fa così, non accusandosi”.