Cara Liliana Segre, ti scrivo questa lettera aperta per chiederti scusa, per chiederti di perdonarci. Quello che ti sta succedendo è responsabilità anche mia. Io sono di destra, lo sono sempre stato. Adesso che ti vedo, dolce nonna novantenne, costretta a subire la presenza di una scorta solo per avere il diritto di passeggiare con tranquillità capisco che abbiano sbagliato tutto, che non abbiano combattuto una battaglia di civiltà.

Non voglio vivere in un Paese dove una donna che gira coraggiosamente l’Italia per raccontare ai più giovani quell’orrore chiamato Olocausto, dal quale ancora oggi una certa destra non ha il coraggio di prendere definitivamente le distanze, si ritrova costretta a dover camminare fianco a fianco a degli agenti che la proteggono. Dopo aver ricevuto l’odio degli utenti, inferociti giorno dopo giorno dalla propaganda di partiti che poco hanno a che fare con uno Stato di diritto. Dopo essersi vista rifiutata persino la cittadinanza onoraria nella città di Pescara dalla giunta leghista di turno, occasione mancata per ridistendere i toni, ennesimo pretesto per stuzzicare gli istinti più beceri dell’elettorato.

Io sono di destra e ripudio questa destra dominante, destra rabbiosa e bavosa, destra cattiva.

Ma oggi mi rendo conto che non basta, che la battaglia deve essere ancora più forte, ancora più incisiva. Ancora più alta. Sto girando l’Italia per parlare della mia umilissima “buona destra” ma oggi mi sento impotente di fronte all’indicibile di leader politici complici di tutto questo, ancora adesso volutamente vaghi e fumosi di fronte a polemiche che richiederebbero, invece, senso di responsabilità. Quello che certi leader, o presunti tali, non hanno né avranno mai.

Mi sento coinvolto perché la mia destra ha fatto e fa poco per contrastare questa deriva bestiale. Ti prego perdonami, anche per loro. Perché se esistono, se hanno tutto questo potere è colpa anche di quelli come me che li hanno lasciati fare.

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