Milano Dubai: per entrare subito nella parte volo con la compagnia di bandiera degli Emirates, tra le prime tre al mondo. Mi intrufolo in prima classe, tutta alabastro e mogano tirato a lucido, le poltroni reclinabili diventano un comodo letto apparecchiato con lenzuola di lino. Annuso aria “miliardaria” prima di tornare in piccionaia. Devo ammettere che anche in class economy le sedute sono da business di una qualsiasi low cost. Solo che anziché tartine al caviale mi servono un pollo in salsa rosso vermiglio. Sto per affondare la forchetta (non di plastica, meno male), ma alla fine preferisco dormirci su. Si atterra alle 6,25 del mattino, riparto l’indomani alle 2.50, praticamente 19 ore per fare finta di avere un conto lungo come le limousine strech.che sfrecciano per le strade, larghe come autostrade, sei corsie da un lato, sei dall’altro. La metropolitana (ma chi si sogna di prenderla) sfreccia sulle nostre teste. Un capolavoro di ingegneria, dinamica e sopraelevazione. Dubai, una concentrazione di hotel a cinque/sei/sette stelle, da far invidia a una qualsiasi costellazione in cielo…
Comincio dall’alto. Scelgo dal nome One and Only Royal Mirage, categoria extra lusso, che brilla nella collezione dei Leading Hotels of the World. Per chi avesse poca familiarità il power brand LHW è nato nel 1928 grazie ad alcuni lungimiranti esperti di hotelerie che avevano già capito, chi maneggiava il lusso doveva far parte di un club esclusivo, non per tutti. Dicevo 1928, una curiosa coincidenza, un anno prima della Grande Depressione come se i visionari dell’accoglienza over the top avessero previsto l’antidoto alla crisi economica che avrebbe sconvolto l’economia mondiale. LHW sceglie con il lanternino chi ci deve fare parte: attualmente sono 400 alberghi sparsi in 80 Paesi. Con fatturato da capogiro: quest’anno, una revenue senza precedenti che supera la cifra di $1 billion!!
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Ci accolgono alla reception con un cocktail di bollicine (analcolico, visto che per noi è l’ora del cappuccino). Alziamo il calice verso il ritratto, anzi tre ritratti in fila dell’emiro, sua altezza Sheikh Mohammad Bin Rashid Al Maktoum. Il nome è uno scioglilingua. Alla salute caro sceicco, ruler di Dubai. E brindo al tuo credo: “L’impossibile non esiste nel suo dizionario”. E ha appena nominato il Ministro Delle Possibilità, una sorta di cane da guardia per non lasciarsi sfuggire nessuna potenzialità legata a Expo. Visioni emireggianti. E’ lui che continua con la lungimirante politica dello sceicco padre investendo pesantemente nel turismo da far cambiare faccia all’intera città nel giro di un decennio. I proventi del petrolio sono reinvestiti in strutture. Grattacieli fantasmagorici e specchiati amplificano l’effetto della città del futuro. E’ lui che ha fortissimamente voluto Expo 2020. E la città ancora una volta cambia faccia: adesso è tutta un cantiere. Non si sa quando finiranno i lavori, continuano a progettare, costruire, buttare giù, ricostruire. Quello che si sa è che l’emiro a fine manifestazione non smantellerà un bel niente, si terrà tutto il suo milione di metri quadrati e ne farà una Expo permanente, attrattiva da turisti e incassi a nove cifre. Mica come da noi che del Dopo/Expo al centro di progetti ambiziosi sono rimaste solo macerie.
Il Breakfast è servito in giardino: un tè al gelsomino con 11 tipi differenti di miele e cesto di cornetti fumanti. Nella suite roof top io e mia figlia cretineggiamo, sul terrazzo che fa un mezzo girotondo un selfie davanti ai grattacieli che sembra di toccarli, il pavimento è fatto di geometrie optical di marmo. Di fianco al letto il menù dei cuscini per scegliere la leggerezza della piuma. Un butler 24 ore su 24 è a disposizione di ogni capriccio del cliente. La piscina è uno specchio d’acqua su mosaici dalle mille sfumature dell’azzurro. Trasportata in loco da isola tropicale sabbia bianca finissima, le tende ondeggiate dal vento sono a una giusta distanza di privacy (mica come a Forte dei Marmi). E abbiamo visitato solo il primo blocco dell’albergo, quello che si chiama Residence e ospita la Spa, più bella del mondo (almeno per me).
Varco in punta di piedi la soglia della Royal Amman, sotto una cupola traforata di marmo la luce filtra attraverso sfaccettature di lanterne che piovono dal soffitto. Sono insaponata, massaggiata, unta di oli essenziali, lavata e stirata come un bebè in fasce e avvolta in un sudario. Il lunch a base di frutti di mare (con certifcato di provenienza) e sette tipi diversi di cous cous è servito nella Arabic Court. Tutt’intorno lanterne caledoiscopiche e fiori galleggianti dentro fontane zampillanti. E il banchetto dei sensi continua.
Fine prima puntata
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