Ho conosciuto Liliana Segre nel 2009, quando l’Università di Trieste decise di conferirle la laurea honoris causa in giurisprudenza e conferì a me un altro onore, quello di tenere la laudatio, il discorso in lode della candidata. Trieste è anche la città dove Mussolini, dinanzi a una folla plaudente, annunciò le leggi razziali che poi portarono ad Auschwitz lei e migliaia di altri ebrei che non sono più tornati. Nel video, che è ancora in rete, dissi che né lei né io avevamo mai creduto al mito degli italiani brava gente. Oggi aggiungerei solo che siamo esseri umani, e che anche gli umani, come tutti gli animali, odiano.
Perché odiamo? La ragione è banale: la selezione naturale, il meccanismo principale dell’evoluzione. Siamo gli eredi degli scimmioni cattivi che hanno conquistato e devastato il pianeta. Gli uomini di Neanderthal erano meno cattivi e intelligenti di Homo sapiens, che li ha sterminati tutti. Insomma, i buoni, quelli che porgevano l’altra guancia, sono tutti morti. Ma questo vuol forse dire che l’odio, la violenza, il razzismo sono nel nostro Dna e non ci si può fare niente? Macché: siamo umani proprio perché siamo riusciti a distinguerci dai nostri avi scimmioni. Con qualche eccezione, certo.
In un libro che uscirà agli inizi del 2020 constato che i discorsi d’odio (hate speech), il razzismo, il neonazismo e altre amenità contemporanee hanno sì ragioni evolutive, ma sono moltiplicati, e a volte creati di sana pianta, da Internet. Ad esempio: quanti dei 200 messaggi d’odio che Liliana Segre riceve ogni giorno provengono da dementi in carne e ossa, e quanti, invece, sono prodotti da bot, troll e altri trucchi che ritwittano i tweet dei dementi di cui sopra?
Non lo so, ma è evidente che ci sono dei rimedi per tutto questo: rendere tracciabili i tweet, risalire agli odiatori professionali, chiudere i bot, sciogliere Forza Nuova… I bot si trasferiranno altrove, le teste rasate prenderanno altre sigle? Pazienza. Noi avremo fatto il nostro dovere.
E qui viene la mia proposta, umana anch’essa e quindi suscettibile di essere equivocata. Suppongo che fosse un dovere, per il Prefetto di Milano, dare la scorta a Liliana Segre: se non l’avesse fatto si sarebbe assunto le stesse responsabilità, giuridiche e morali, che si assunse il ministro degli Interni quando la tolse a Marco Biagi. Eppure è un provvedimento ipocrita: non facciamo niente contro l’odio in rete, non sciogliamo Forza Nuova, ma diamo una scorta a Liliana Segre.
Allora mi rivolgo direttamente a lei, con l’unica autorità che mi dà quell’incontro di dieci anni fa. Senatrice, ha 90 anni ed è stata ad Auschwitz: di cosa può avere ancora paura? Dia un altro schiaffo agli odiatori di professione, mostri che le loro minacce non le fanno né caldo né freddo. Se può, rifiuti la scorta.