Proventi di attività illecita reinvestiti attraverso un sistema di scatole cinesi al Nord Italia in ristoranti appartenenti alla nota catena di ‘giro-pizza’ Tourlé con “meccanismi propri della criminalità organizzata nella gestione delle attività commerciali”, attraverso intimidazioni, prestanome e professionisti. E’ il teorema accusatorio alla base del blitz eseguito questa mattina nei confronti di nove persone in Lombardia e Piemonte. Le ipotesi di reato sono il trasferimento fraudolento di valori e l’associazione per delinquere, al vertice della quale ci sarebbe stato Giuseppe Carvelli, pluripregiudicato per narcotraffico “vicino” alle cosche calabresi secondo quanto scrive il gip di Milano Natalia Imarisio nell’ordinanza di custodia cautelare.
Le indagini – condotte dalla Squadra mobile della Questura di Milano e, nella fase preventiva, dai poliziotti della Divisione anticrimine, coordinate dalla Direzione distrettuale antimafia del capoluogo – hanno ricostruito l’investimento iniziale di 400mila euro nella pizzeria Tourlé di Sesto San Giovanni da parte di Carvelli, 49 anni, noto trafficante di cocaina legato, secondo quanto affermato in conferenza stampa dagli investigatori, alle famiglie di ‘ndrangheta dei Pesce e Mancuso. L’uomo era stato arrestato nel 2008 con 6 chili di cocaina e poco dopo aveva ricevuto un cumulo pena di 22 anni.
Nell’ordinanza si legge che Carvelli, ora tornato in carcere, quattro anni fa era stato ammesso “al lavoro esterno” alle dipendenze di una cooperativa a Bollate (Milano) e dal marzo 2017 beneficiava “dell’affidamento in prova ai servizi sociali”. L’attività imprenditoriale nella ristorazione della presunta associazione per delinquere, smantellata dalle indagini della polizia, coordinate dal procuratore aggiunto della Dda milanese Alessandra Dolci e dal pm Sara Ombra, sarebbe stata portata avanti tramite le “società Jenever prima ed Heigun poi” e per il tramite di Marco Bilotta, “insieme al socio Luigi Cannella”. L’inchiesta ha documentato gli “sviluppi” delle attività della banda “in espansione” fino “all’apertura” anche di un locale a Torino, oltre alle pizzerie del marchio già presenti nell’hinterland milanese e non solo.
L’apertura del ristorante-pizzeria a Torino, scrive il gip, ha “determinato il trasferimento” di una persona “nel Nord Italia per curare le incombenze relative sotto la costante direzione” di Carvelli, a cui erano riconducibili, in pratica, i ristoranti a marchio Tourlé e che dimostrava la sua “indiscussa autorità”. C’era un “chiaro riconoscimento di posizioni in ordine gerarchico (sotto Carvelli il socio Francesco Bilotta, ndr)”.
Il gip segnala anche la “raffinatezza degli strumenti giuridici adottati”, tra cui la “costituzione di nuove società e successioni nelle rispettive compagini” e l’utilizzo “del marchio Tourlé”, come quello continuo di “prestanome” e il ricorso “sempre agli stessi professionisti di comprovata fiducia”, tra cui un notaio di Garbagnate Milanese. Carvelli, tra l’altro, rivendicava “il suo ‘livello criminalè, che gli ha assicurato la buona accoglienza a Torino da parte del ‘livello superiore'” e si metteva, spiega sempre il gip, ad intimidire anche i dipendenti quando serviva.
In mattinata è stato eseguito anche il sequestro preventivo del capitale sociale, quote societarie e intero patrimonio aziendale di 6 società riconducibili agli indagati per un valore di circa 10 milioni di euro, di cui 300mila in contanti; quattro di queste società sono proprietarie di altrettanti ristoranti-pizzerie riconducibili a Tourlè; una società è proprietaria dell’Hotel Lincoln di Cinisello Balsamo (Milano).
“Questa operazione rappresenta un momento significativo perché dimostra gli investimenti della criminalità organizzata nel campo del food in Lombardia”, ha commentato la Dolci. “Bisogna capire definitivamente che qui le cosche hanno soprattutto un potere economico, più che militare – ha commentato Francesco Messina, direttore centrale dell’Anticrimine – Il modello Milano di prevenzione deve essere esportato”.