L’Italia sarà la nuova Grecia? Dietro la celebre battuta “una faccia, una razza” tra le due sponde del Mediterraneo nasce una riflessione attuale e chirurgica. Il sorpasso dei titoli di Stato greci a dieci anni su quelli italiani apre uno scenario ambiguo e inquietante, certamente più volte raccontato in passato (in verità non da tutti) ma mai davvero metabolizzato dalle classi dirigenti del Paese.
I titoli ellenici sono meno rischiosi di quelli italiani: ecco che la fiducia nel nostro paese diminuisce sensibilmente, mentre il debito pubblico che tutti promettono di sforbiciare resta drammaticamente pesante e aumenta con macabra costanza. Il punto di caduta sarà una nuova troika?
Il dato di partenza non è solo l’attuale manovra, che comunque non aiuterà né il gettito fiscale né la crescita, ma le falle storiche dell’Italia che non sono davvero al centro dell’agenda dei governi, visto che nessuno le ha mai sanate negli ultimi quattro lustri. Prima che la Grecia rischiasse il crollo nel 2012, va ricordato che aveva una serie di deficienze strutturali impressionanti. Non esisteva un sistema informatico per la riscossione delle tasse, né per la semplice emissione di biglietti ferroviari (il mancato gettito fiscale era nel 2015 di un miliardo al mese): ruberie ed evasione erano a livelli indicibili visto che gli scontrini e le ricevute erano una chimera; alcune pensioni di semplici dipendenti pubblici come medi dirigenti o insegnanti sfioravano i 2.500 euro; i giochi di Borsa si mescolavano con un facilissimo accesso al credito, con cittadini, studenti e dipendenti che venivano invitati a prendere una carta di credito prepagata per trascorrere le vacanze estive o per acquistare un’auto. La benzina a 80 centesimi favoriva il proliferare di fuoristrada, così come gli incentivi a pioggia per gli agricoltori che nella città di Larissa ha visto il record europeo di Porsche Cayenne.
E ancora. Gli sgravi e le agevolazioni erano all’ordine del giorno, così come certi bonus stipendio imbarazzanti, celebre il caso di un dipendente pubblico che percepiva un gettone in più per salire due piani del proprio ufficio, in una mansione definita “straordinario”, o la norma in Costituzione che consente agli armatori di non pagare le tasse in Grecia; i pensionati a soli 45 anni, retaggio dello sperpero avviato dalla gestione dal socialista Giorgios Papandreou nel 1985; gli acquisti del settore difesa gestiti con poca oculatezza, come il sommergibile tedesco arrivato in Grecia con un timone rotto, e le spese per le Olimpiadi di Atene 2004 lievitate tre volte tanto quelle di Londra.
E dulcis in fundo l’assenza di un tessuto industriale che facesse produrre al Paese un qualche prodotto utile, con la conseguenza che la Grecia importava e importa praticamente di tutto, compreso quel cotone presente copioso nel paese. Ovvero il frutto di una mancata programmazione, l’assenza di una politica industriale, misure a pioggia di chiaro stampo assistenziale, e titoli spezzatura detenuti da istituti francesi e tedeschi, che condussero al fallimento di sette anni fa. L’elenco è lungo, come ho scritto nel mio pamphlet Greco-eroe d’Europa (Aletti 2014), tradotto in lingua greca dalla Farnesina.
Cosa c’entra l’Italia? E’di tutta evidenza come il nostro paese sia strutturalmente diverso dalla Grecia, per storia, Pil, consistenza, imprese e volumi. Ma ci sono preoccupanti punti di contatto, come il debito pubblico, giunto quest’anno al 134% del Pil, le crisi industriali irrisolte, l’evasione fiscale che non si combatte, preferendo azzannare i più deboli, le caste di professioni chiuse che poi fruttano altre “nuove” professioni dove spicca l’assenza di diritti, un’azione sindacale che è stata blanda e non risolutiva dei problemi di tutti (imprese e lavoratori).
Lecito chiedersi: se una minuscola parte del Pil europeo, la Grecia che vale lo 0,5%, per non dichiarare bancarotta ha dovuto affrontare sacrifici lacrime e sangue con le politiche di austerità della troika, cosa potrebbe accadere all’Italia se le cose dovessero precipitare? Il dibattito è aperto e sarebbe davvero auspicabile che si strutturasse una riflessione, seria e ponderata, da parte di imprese, istituzioni e cittadini. Per non svegliarsi un bel giorno e assistere passivi ad una sgradevole sorpresa.
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