Questo articolo è comparso sul numero di febbraio di FqMillennium, il mensile d’inchiesta diretto da Peter Gomez. Qui puoi acquistare tutti i numeri di FqMillennium.

La legge non è uguale per tutti, neanche sul fronte del fisco locale. Se per per esempio abitate ad Asuni (Oristano), le probabilità che vi becchino a evadere i tributi comunali e vi costringano a pagarli è prossima allo zero. Il Comune, infatti, riscuote appena il 5,77% del dovuto, poco più di duemila euro sugli oltre 38 mila che potrebbe incassare. Il tributo sui rifiuti e servizi non produce neppure un centesimo di gettito e le casse si reggono sui versamenti della Regione Sardegna. Il municipio di San Lorenzo Bellizzi (Cosenza) ha riscosso solo 9.495 euro di imposte e tasse su oltre 113 mila euro accertati, ma per sua fortuna lo Stato gliene ha elargiti 308 mila. Sono performance fra le peggiori d’Italia, ma altrove sono le cifre assolute a colpire e a far ribollire il sangue di chi paga puntualmente cartelle e solleciti: l’amministrazione di Mondragone (Caserta) perde per strada in un anno 25 milioni di euro dei quasi 36 dovuti dai cittadini (Fq Millennium ha provato a contattare il sindaco per ottenere spiegazioni, invano).

Se invece abitate ad Agnana Calabra o in altri trenta paesi, molti entro i confini del Trentino-Alto Adige, le vie di fuga sono sbarrate: la riscossione raggiunge il 100%. Imu, Tasi, Tari, imposta su pubblicità e sulle insegne, addizionale Irpef, nulla sfugge, almeno una volta accertato. Il resto d’Italia sta nel mezzo: nel 2017 244 sui 7.473 Comuni (su un totale di 7.954, ma gli altri cinquecento non hanno neppure presentato i consuntivi dell’anno) hanno raccolto meno del 50%; 2.770 non raggiungono i tre quarti. Ma come diceva Totò, è la somma che fa il totale: a livello nazionale, a fronte di accertamenti per 37,6 miliardi, le riscossioni si sono fermate a 27,8. Il buco è dunque di 9,8 miliardi in un solo anno. In particolare mancano all’appello 3,2 miliardi di Imu e 3,5 miliardi di tasse sui rifiuti e sui servizi, più 2 miliardi di addizionale Irpef, riscossione questa che spetta allo Stato, ma i sindaci sulla carta hanno tutto l’interesse a segnalare gli evasori: il 100% del recuperato finirebbe infatti tra le loro entrate. Se non bastasse, vanno aggiunti 1,7 miliardi di multe non pagate, anche qui con una riscossione che “premia” alcuni a scapito di altri. Sono cifre che in una manovra finanziaria avrebbero un peso determinante. E che diventano stratosferiche conteggiando i crediti relativi ad anni passati e ormai persi per sempre da amministrazioni locali che non sono riuscite o non hanno voluto battere cassa.

Quelli elencati finora sono alcuni dei risultati della nostra elaborazione sulla Banca dati amministrazioni pubbliche (Bdap) del ministero del Tesoro, in base alla quale abbiamo compilato le classifica dei dieci migliori e dieci peggiori Comuni capoluogo. Va male ad Avellino (55,6%, il Comune è attualmente commissariato), dove, sempre nel 2017, sono mancati 20 milioni di euro e rotti. Va benissimo L’Aquila, che fa quasi l’en plein di entrate tributarie, mentre fra le grandi città svetta Genova, che riesce a incassare oltre mezzo miliardo di euro dei 543 mila accertati. Per Roma Capitale l’ammanco è di 750 milioni più 347 di multe non pagate, per la “rivale” Milano è rispettivamente di 494 e 157 milioni. Per Napoli di 285 milioni più 200 di contravvenzioni, per Palermo di 192 milioni più 51 di multe.

Se i Comuni non riescono a raccogliere quanto spetta, serve a poco aumentare addizionali e tributi locali, cosa che quest’anno la legge di Bilancio permette, non prorogando il blocco deciso nel 2016. «La scarsa riscossione, insieme alla formazione di debiti fuori bilancio e all’uso eccessivo di anticipazioni di tesoreria (l’equivalente di uno scoperto sul conto, ndr), fa parte delle criticità strutturali che possono condurre al dissesto», commenta Marcello Degni, consigliere della Corte dei conti e docente di Bilancio pubblico alla Scuola nazionale dell’amministrazione. Napoli è un caso di scuola: dal 2013 è in pre-dissesto, e quando nel 2015 sono entrate in vigore le nuove regole di contabilità armonizzata che impongono di congelare in un fondo ad hoc una quota di crediti legata ai mancati incassi degli anni precedenti, il conto si è rivelato salatissimo: 1,4 miliardi di maggior disavanzo. Il salvataggio è arrivato, come spesso succede, con una leggina ad hoc infilata nel “Milleproproghe” che raddoppia l’orizzonte del rientro da dieci a vent’anni. La Corte dei conti ha accusato il Parlamento di «accanimento terapeutico per gli enti ormai in default». La contabilità armonizzata impone fra l’altro che il Comune possa spendere solo somme coperte da entrate certe, e non da crediti ipotetici come il non riscosso del passato, gettando nel panico molti enti fra i meno virtuosi, ora costretti a recuperare il recuperabile.

Ma come mai la capacità di riscossione cambia così radicalmente da un posto all’altro? «Le criticità sono concentrate nel Mezzogiorno», precisa Degni. «Pesano carenze amministrative oppure, se il Comune non se ne occupa direttamente, l’inefficienza dell’agente della riscossione. Ma ovviamente in alcune zone ci sono oggettive difficoltà dei contribuenti a pagare».

È vero, ci sono tanti ostacoli sulla strada della riscossione di multe e tributi locali, anche se come abbiamo visto chi si rimbocca le maniche i risultati li ottiene. Anci, l’associazione di Comuni italiani, chiede da anni la riforma della legge sulla riscossione diretta da parte dei Comuni, oggi regolata – pensate un po’ – da un Regio decreto del 1910, emesso da Vittorio Emanuele III «per grazia di Dio e per volontà della Nazione». Anche perché come in passato l’ex Equitalia, oggi Agenzia delle Entrate-Riscossione (a cui si affida ancora circa il 60% dei Comuni) è accusata dagli amministratori locali di privilegiare la rincorsa di somme più sostanziose rispetto a un’Imu o a un’imposta sulle affissioni, come conferma Francesco Tuccio, presidente dell’Associazione nazionale uffici tributi enti locali (Anutel): «L’Agenzia non ha interesse a riscuotere poche centinaia di euro». A fronte di poco più di 21 miliardi di crediti affidati dai Comuni all’Agenzia tra il 2000 e il 2017, il riscosso è stato comunque di 14,2 miliardi, di cui 809 milioni nel 2017.

Sono sempre di più dunque gli enti che vorrebbero far da sé, a patto di avere a disposizione norme aggiornate a questo millennio. Il Comune, tanto per dire, «non può emettere ruoli: ha a disposizione solo l’ingiunzione fiscale», esemplifica Christian Amadeo, membro del consiglio di presidenza Anutel e responsabile del servizio tributi di Settimo Torinese. «Ed è obsoleta anche la figura dell’ufficiale della riscossione, perché da molti anni l’amministrazione finanziaria non organizza i corsi necessari per ottenere l’abilitazione».

Detto questo, «ci sono aree del Paese dove la compliance, il versamento spontaneo delle imposte, non è molto alta», spiega Guido Castelli, delegato Anci alla Finanza locale e sindaco di centrodestra di Ascoli Piceno, fautore della “riscossione dal volto umano”. «Spesso sono le aree più povere, ma altrettanto spesso il tributo non è richiesto con sufficiente efficacia». Tradotto: dietro i buchi di molte amministrazioni comunali, che prima o poi saranno ripianati dalla collettività, c’è banalmente la ricerca di un (costoso) consenso. Ad Alcamo (Trapani), il neosindaco 5 Stelle Domenico Surdi, eletto nel 2016, ha trovato 29 milioni di “residui attivi” ereditati dalle precedenti amministrazioni, di cui 16 di tasse e imposte non pagate e 3,5 di multe. E nel 2017 sono mancati all’appello altri 4,7 milioni, più un milione di contravvenzioni. Cifre in grado di finanziare campagne elettorali ben più ambiziose. «In passato c’è stata troppa elasticità, l’impressione è che ci si interessasse solo alla spesa e non alle entrate», commenta Surdi. «Le bollette dell’acqua e gli avvisi Tari venivano inviati a fine anno. E nel primo caso si riscuoteva non il corrispettivo per l’esercizio in corso, ma per quello precedente, con il risultato che le somme dovute andavano ad incrementare il Fondo crediti di dubbia esigibilità. Noi abbiamo creato una piattaforma informatica che incrocia i dati di anagrafe e ufficio tributi per notificare più facilmente gli avvisi, abbiamo anticipato la bollettazione e ora proporremo rateizzazioni per cercare di recuperare i crediti Tari più corposi».

L’andazzo di coccolare gli elettori chiudendo uno o due occhi sui tributi locali ha seminato caos nei bilanci. Ne sa qualcosa Giuseppe D’Ippolito, sindaco di Isernia e generale in pensione della Guardia di Finanza. La sua città svetta per virtuosismo, ma c’è un inghippo: «Raccogliamo oltre il 90% dell’accertato», racconta, «il problema però è che quando ci siamo insediati, due anni e mezzo fa, la platea dei contribuenti non era neppure definita. Stiamo facendo un lavoro di ricostruzione che nessuno aveva mai fatto prima. Anche a rischio di perdere qualche voto». Dato che molto pregresso era a rischio prescrizione, il Comune si è rivolto a una società privata convenzionata con la Regione Molise. L’obiettivo è andare a stanare anche i balzelli più difficili, come l’Imu sui terreni edificabili o quelli sulla pubblicità. «A volte la politica pensa che i controlli siano vessatori», conclude D’Ippolito, «ma ho fatto campagna elettorale promettendo di abbassare le tasse, specie per le fasce più deboli, in un Comune che ha l’addizionale Irpef massima. Per farlo, però, è necessario riscuotere il dovuto: pagare tutti per pagare meno».

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