Per i sindaci che non ci tengono troppo a inchiodare i furbetti dei tributi locali cambierà poco. Tutti gli altri dal prossimo anno avranno a disposizione strumenti molto più efficaci per battere cassa e riscuotere Imu, Tasi, tasse sui rifiuti e le altre imposte di loro competenza. La manovra infatti manda in soffitta l’ingiunzione fiscale regolata da un Regio decreto del 1910, che fino a oggi era incredibilmente il principale (e spuntato) strumento di riscossione a disposizione degli enti locali. Un paradosso che, come raccontato dal mensile Fq Millennium a febbraio, insieme ad altre criticità contribuisce a ridurre di quasi 10 miliardi l’anno gli introiti che entrano nelle casse pubbliche. Al suo posto arrivano accertamenti simili a quelli utilizzati dalle Entrate per imposte sui redditi e Iva, che dovranno contenere l’ingiunzione di pagamento e diventeranno immediatamente esecutivi se il contribuente entro 60 giorni non salda il dovuto né impugna. L’avviso, insomma, si trasformerà di fatto in una cartella esattoriale.
La riforma, sponsorizzata dalla viceministra all’Economia Laura Castelli, prevede poi che trascorsi trenta giorni dall’ultima data utile per pagare la riscossione sia affidata direttamente all’Agenzia delle Entrate Riscossione o al concessionario privato incaricato dal Comune. Le procedure esecutive (dal pignoramento all’espropriazione) sono congelate per i primi 180 giorni dall’affidamento dell’incarico, mentre potranno partire subito le azioni cautelari e conservative come fermo amministrativo e ipoteca. Inoltre se c’è “fondato pericolo per il positivo esito della riscossione”, dopo 60 giorni dalla notifica dell’avviso la somma potrà essere pretesa subito. Il contribuente potrà comunque chiedere la rateizzazione, a patto che si trovi in situazione “di temporanea e obiettiva difficoltà“. In quel caso l’ente o l’agente della riscossione dovranno concedere la possibilità di pagare in quattro tranche per somme tra 100 a 500 euro, da 5 a 12 quando il dovuto è compreso tra 500 e 3mila euro, da 13 a 24 per cifre fino a 6mila euro, da 25 a 36 fino a 20mila euro e da 37 a 72 rate in caso di debiti superiori ai 20mila euro.
“La riforma era attesa da tempo”, commenta con ilfattoquotidiano.it Guido Castelli, presidente di Ifel, la fondazione dell’Anci che assiste i Comuni in materia di fiscalità locale. “E’ cruciale perché le regole di contabilità armonizzata entrate in vigore nel 2015 impongono ai sindaci di congelare una cifra pari ai crediti di dubbia esigibilità: vale a dire che meno funziona la riscossione maggiori sono le difficoltà per tenere i conti in ordine. Il fondo svalutazione crediti a livello nazionale vale ormai 4,5 miliardi e sempre più Comuni sono a rischio dissesto o predissesto“. Tra le novità previste in manovra il presidente Ifel promuove l’accertamento esecutivo, “che comunque sarà l’extrema ratio perché va sempre preceduto da attività preventive di riscossione bonaria”, e – alla luce delle irregolarità emerse negli ultimi, finite al centro di diverse inchieste – la previsione di nuovi requisiti per l’accesso all’albo dei riscossori privati: entro il dicembre 2020 dovranno tra l’altro avere almeno 2,5 milioni di capitale versato per accertare e riscuotere tributi nei piccoli Comuni e almeno 5 milioni per assistere quelli con oltre 200mila abitanti.
Bene anche, per Castelli, il chiarimento sull’ammontare dei costi che possono essere messi a carico del contribuente. La manovra dispone che gli oneri vadano limitati al 3% delle somme dovute in caso di pagamento entro il sessantesimo giorno dalla data di esecutività dell’atto (fino a un massimo di 300 euro) o al 6% del dovuto in caso di pagamento oltre il termine e fino a un massimo di 600 euro. Il ministero dell’Economia dovrà poi, con un decreto ad hoc, fissare la misura delle “spese di notifica ed esecutive” applicabili agli atti.
Gli enti auspicano invece “qualcosa di più nel rapporto con l’Agenzia delle Entrate Riscossione”, perché, Castelli, “i circa 3mila Comuni che ancora affidano a loro la riscossione hanno percentuali di incasso bassissime, intorno al 10-12%“, perché l’ex Equitalia “per i piccoli debiti non si attiva nemmeno”, come lamenta da tempo l’Associazione nazionale uffici tributi enti locali che attribuisce a questo il calo del contributo comunale al recupero dall’evasione di tasse statali. “Ma questo ha riflessi diretti sugli equilibri di bilancio degli enti. Servono norme che mitighino le conseguenze e responsabilizzino l’Agenzia sui mancati incassi”. E, per quanto riguarda l’utilizzo dei dati per scovare gli evasori, viene considerata troppo blanda la norma che autorizza gli enti e le società di riscossione da loro incaricate ad accedere gratuitamente alle informazioni sui debitori presenti nell’Anagrafe Tributaria, oltre che alle banche dati catastale e ipotecaria e al registro automobilistico.
Per gli enti locali la legge di Bilancio prevede poi 110 milioni per il fondo per il ristoro del mancato gettito Imu-Tasi e un’altra misura chiesta da tempo dai Comuni molto indebitati, che vanno da Torino a Reggio Calabria: lo Stato andrà in loro soccorso per la ristrutturazione dei mutui contratti con le banche o con Cassa depositi e prestiti. Il ministero dell’Economia entro il 28 febbraio 2020, d’intesa con la Conferenza Stato-città e autonomie locali, dovrà stabilire modalità e criteri per ridurre la spesa per interessi sostenuta dagli enti, “anche attraverso accollo e ristrutturazione degli stessi da parte dello Stato”. Il tutto però senza nuovi oneri per la finanza pubblica.
Tra le altre novità previste in manovra per gli enti locali c’è poi, sempre con l’obiettivo di rendere più efficiente la riscossione, la nascita dal 2021 del “canone unico” (bocciata la locuzione “local tax” che era stata utilizzata nelle bozze) che prenderà il posto di tassa per l’occupazione di spazi e aree pubbliche (Tosap), canone per l’occupazione di aree pubbliche (Cosap), imposta comunale sulla pubblicità e i diritti sulle affissioni, canone per l’installazione dei mezzi pubblicitari (Cimp) e canone previsto dal codice della strada. Saranno gli enti locali a disciplinare la nuova tassa, per far sì che il gettito sia lo stesso di quello che garantiva la somma dei canoni e dei tributi riuniti. Spetterà a loro, dunque, l’eventuale decisione di ridurre i balzelli fino ad azzerarli oppure aumentarli fino al 25 per cento.