Questa volta, per le celebrazioni dei trent’anni dalla caduta del muro, non verranno i leader di nessuno dei Paesi vincitori della seconda guerra mondiale, che si divisero Berlino, e la Germania, in quattro zone di occupazione. Gli ospiti d’onore saranno i presidenti di Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacca: il famoso, o famigerato blocco di Visegrad.
Del resto, nessuno avrebbe accolto con entusiasmo Donald Trump. E nemmeno Vladimir Putin, al momento, è ufficialmente gradito, nonostante la Germania stia spingendo, con sommo disappunto degli americani, per completare il gasdotto Nord Stream 2, che renderà l’Unione europea sempre più dipendente dal gas russo.
Ma non è il caso di fare i guastafeste. Come disse Frank Zappa, “non discutere mai di filosofia o politica in una discoteca”. E sabato 9 novembre Berlino sarà una grande discoteca a cielo aperto, come tutti i sabati del resto, ma questa volta con una scusa in più, sempre che servano scuse per ballare la tecno. Ci sarà un po’ più di gente del solito, i corrispondenti esteri, i turisti e Daniel Barenboim che dirigerà la Staatskapelle Berlin davanti alla porta di Brandeburgo. A gratis. Poi, alle prime luci dell’alba, arriveranno le spazzatrici della Bsr e tireranno tutto a lucido, separando l’umido dal secco, il vetro dalla plastica, come se non fosse successo nulla. Come se non ci fosse mai stato un muro.
Ma cosa resterà, cosa resta oggi, nella testa della gente, di quel muro e della sua assenza? Per capirlo posso iniziare a guardare intorno a me, mentre scrivo questo articolo nel soggiorno di un appartamento di Friedrichshain, quartiere un tempo operaio della capitale della Repubblica Democratica Tedesca. Oggi dei vecchi abitanti non è rimasto quasi nessuno. Negli ultimi dieci anni questa parte della città è stata completamente “gentrificata“.
I palazzoni grigi sono stati ristrutturati, sono spuntati caffè, ristoranti, negozi di vestiti e vinili usati. Sono arrivati giovani da tutta la Germania e poi spagnoli, italiani, americani, polacchi, russi, francesi. Il colore della mappa elettorale è passato rapidamente dal rosso della Linke, erede del “Partito” con la “p” maiuscola della DDR, al verde dell’ambientalismo politicamente corretto, figlio della borghesia ribelle dell’Ovest.
Se ci fosse ancora il muro io in questa casa non potrei starci, o almeno non potrei passare tempo con le persone che mi circondano e che amo: la mia compagna, nata e cresciuta oltrecortina e nemmeno sua mamma, mia suocera. Poco male, penserete, per la suocera, sbagliandovi, perché è una carissima persona. E poi, naturalmente, nemmeno mia figlia esisterebbe. L’appartamento sopra il nostro, ho scoperto spulciando negli archivi, era un KW della Stasi, una Konspirative Wohnung (appartamento cospirativo), usato da agenti della sicurezza di Stato per spiare i vicini. Quindi se anche ci avessi provato a soggiornare qui, mi avrebbero sgamato subito.
Ed è proprio questo il nocciolo della questione, che mi piacerebbe spiegare anche ai nostalgici di casa nostra. “Quando c’era il muro di Berlino”, ha scritto Marco Rizzo, segretario generale del Partito comunista italiano su twitter qualche giorno fa, “la DDR aveva case, lavoro e welfare per tutti”. E sarebbe stata molto contenta di accoglierti, con il tuo entusiasmo e la tua voglia di fare, aggiungerei.
Quando c’era il #muro di #Berlino…c’era l’art.18; uno stipendio da un milione di lire (500 €) era un ottimo stipendio; la DDR aveva case, lavoro e welfare per tutti; Libia, Irak, Siria erano stati indipendenti; i popoli africani non erano obbligati ad una migrazione forzata… pic.twitter.com/G2tIbwOUKd
— Marco Rizzo (@MarcoRizzoPC) November 6, 2019
Avresti scoperto, magari, che, per avere una casa, le coppie non allineate al regime dovevano affrettarsi a fare un figlio, se ci riuscivano. Che il lavoro c’era ma se si osava criticare chi deteneva il potere, un ingegnere poteva essere demansionato e messo all’altoforno per il resto della sua vita lavorativa. Che mia suocera, moglie dell’ingegnere di cui sopra, doveva spiegare alla figlia di sei anni che tutto quello che aveva sentito in casa non doveva assolutamente riferirlo alle maestre, una volta arrivata a scuola.
Sono storie di vita vissuta, che ho sentito ripetere in questa parte della mia famiglia italo-tedesca negli ultimi dodici anni. Grazie alla caduta del muro sono stati consegnati a un passato che oggi, 9 novembre, salutiamo con sollievo e i calici alzati verso il cielo.