Luca La Colla, dopo una laurea in Medicina al San Raffaele di Milano e una specializzazione in Anestesia all’Università di Parma, è resident in Anestesiologia alla Duke University di Durham. Su 'The Lancet' aveva denunciato l'inadeguatezza dell'Italia nel fare fronte alla carenza di medici. "Apprezzo il nostro Sistema sanitario nazionale, ma è diventato anacronistico. E la soluzione per aumentare il personale non è abbassarne la qualità"
“L’Italia non è attrattiva per i medici. È un paese che per sopperire alla loro mancanza pensa di assumere neolaureati senza specializzazione e di tenere in servizio il personale sanitario fino a 70 anni”. A parlare è Luca La Colla, anestesista italiano che oggi lavora negli Usa, e che denunciato con una lettera aperta sulla rivista scientifica The Lancet l’inadeguatezza delle strategie finora discusse in Italia per far tornare i medici in corsia. “Mentre nel resto del mondo si migliorano le condizioni e si avviano programmi di perfezionamento come le fellowship, noi italiani proponiamo di abbassare la qualità del Sistema sanitario per aumentare il numero di personale. Assumere medici non specializzati significa cercare lavoro dequalificato e a basso costo”.
La Colla ha 35 anni, una laurea in Medicina al San Raffaele di Milano e una specializzazione in Anestesia all’Università di Parma. Poteva essere uno dei tanti anestesisti dei nostri ospedali pubblici, ma il camice bianco ha deciso di indossarlo in North Carolina, dove è resident in Anestesiologia alla Duke University di Durham. “Non mi reputo un ‘cervello in fuga’ e non provo rancore verso l’Italia. Anzi, apprezzo il nostro Sistema sanitario nazionale e i suoi principi, ma oggi è diventato anacronistico. Va riformato e svecchiato”. Uno svecchiamento che dal suo punto di vista inizia con i presupposti sbagliati se si guarda alle proposte delle Regioni. “Non produciamo medici specialisti a sufficienza e in migliaia se ne vanno dall’Italia ogni anno? È comprensibile. Qui negli Stati Uniti, ad esempio, i medici sono più valorizzati. E non hanno solo un buono stipendio, ma riconoscimenti e potere contrattuale, possono dedicare tempo alla ricerca oltre che alla clinica, e quasi sempre sono in prima linea nelle decisioni amministrative. Qui poi è impensabile che la politica interferisca con la sanità”. L’ipotesi di portare la soglia di pensionamento dei medici a 70 anni, di assumere non specializzati o addirittura di reclutarli da paesi in cui le condizioni di lavoro sono più arretrate delle nostre, secondo Luca rischia anche di aggravare le cose. “La mia chiave di lettura del problema è che il nostro Paese esporta più medici di quanti riesca a importarne dall’estero. È su questo che bisogna intervenire”. In effetti, stando alle stime del rapporto Fiaso 2018, solo il 75% dei medici specialisti formati sceglie di lavorare per il Sistema sanitario nazionale.
Il resto finisce, come Luca, negli ospedali all’estero, dove le possibilità di carriera e le condizioni di lavoro sono più interessanti. “Ci sono migliaia di professionisti che vorrebbero lavorare in Usa, Canada, Francia. Come mai nessuno vuole venire a lavorare in Italia, paese ricco di storia, cultura e luoghi meravigliosi?”. Tanto per cominciare, bisognerebbe porre le condizioni affinché i giovani abbiano ancora voglia di fare i medici in Italia. “Bisogna migliorare l’organizzazione del lavoro – dice Luca -, incrementare i finanziamenti statali (stanziamo circa il 10% in meno degli altri paesi Ue), puntare sulla meritocrazia per l’avanzamento di carriera, evitando gli incarichi ‘a vita’. E poi aumentare gli stipendi, in media pari a 17 euro l’ora”. Affinché, poi, i nostri professionisti non scappino, il sistema dovrebbe diventare più trasparente. “Bisogna fare uscire la politica dalla sanità, porre fine ai concorsi pubblici, spesso truccati, e introdurre l’assunzione diretta per colloquio”.
Sperando che basti. Secondo le proiezioni del sindacato Anaoo Assomed, nel 2025 mancheranno in Italia circa 17mila medici specialisti: stiamo veramente facendo qualcosa per fermare l’emorragia? Probabilmente non abbastanza. Luca, per esempio, ha deciso di fare le valigie proprio durante la specialistica, quando è partito per un semestre di ricerca negli Usa e ha intravisto possibilità cliniche, professionali e scientifiche che in Italia sarebbero state un miraggio. “Al mio rientro ho pensato di fare gli esami di abilitazione negli Usa, seguita da una fellowship in America. Dato che la specializzazione italiana non è riconosciuta, adesso sto per terminare il training in Anestesia alla Duke per poter lavorare negli Usa senza restrizioni”. Tornare? “Mi piacerebbe riportare in Italia la mia esperienza. Prima però, spero che qualche riformatore di ampie vedute sia in grado di cambiare il nostro sistema sanitario e renderlo attrattivo”.