Secondo il premier Giuseppe Conte, una battaglia legale sul caso ex Ilva vedrebbe tutte le parti perdenti e, allo stesso tempo, “sarebbe la causa del secolo: non possiamo consentire che dall’Italia si venga e si vada via” ha detto. Ma allo stesso tempo ha promesso che, nel caso in cui ArcelorMittal decida di andarsene, “ci sarà una battaglia legale sanguinosissima, saremo durissimi”. Vero è, inoltre, che la multinazionale franco-indiana, colosso mondiale nel settore dell’acciaio, sul piano legale l’ha messa eccome, depositando presso il Tribunale di Milano un atto di citazione all’Ilva in amministrazione straordinaria, chiedendo di dichiarare sciolto il contratto e rivendicando di aver legittimamente esercitato il diritto di recesso.
In attesa del nuovo incontro che si terrà tra il Governo Conte e i vertici di ArcelorMittal martedì 12 novembre, è lecito chiedersi cosa accadrà nel caso in cui si arrivi al contenzioso. Che tempi si prevedono? A chi spetta la gestione della fabbrica se la multinazionale la abbandona definitivamente? Ilfattoquotidiano.it lo ha chiesto a Bruno Inzitari, ordinario di Diritto Civile all’Università Milano Bicocca. “Se l’affittuario (ArcelorMittal, ndr) non continuasse a gestire la fabbrica in caso di disimpegno legittimato dal Tribunale – spiega -, il primo passo dovrebbe essere quello di affidare tutta la gestione ai commissari che già oggi gestiscono l’Ilva in amministrazione straordinaria. Più futuribile l’ipotesi, almeno nell’immediato, di una nuova amministrazione con altri commissari”.
LA PRIMA SCADENZA – In molti, intanto, si domandano se la decisione del Tribunale di Milano arriverà in tempo rispetto a una prima scadenza importante. Fra i problemi elencati dalla multinazionale nella citazione, infatti, non c’è solo quello dello scudo penale venuto a mancare, utilizzato da ArcelorMittal come pretesto per uscire dal contratto, con l’azienda che si è guardata bene dall’accettare l’ipotesi del ripristino della protezione legale. Tra le motivazioni addotte dalla multinazionale ci sono anche una serie di ostacoli alla realizzazione del piano industriale, in primis il nodo dell’altoforno 2, che rischia di essere fermato il 13 dicembre, termine fissato dal Tribunale per mettere in sicurezza la struttura (sottoposta a sequestro dopo l’incidente del giugno 2015 in cui è morto l’operaio Alessandro Morricella). Una chiusura che potrebbe provocare il blocco di tutta l’area a caldo.
La scelta dei commissari è quella di fare un ricorso urgente al Tribunale. Con questa strategia, appoggiata dal governo, la decisione dovrebbe arrivare in tempi molto stretti (una settimana, al massimo dieci giorni), proprio perché si discute di procedimenti urgenti. E si conferma la linea del premier Conte, ossia un certo ottimismo, almeno rispetto al fatto che i giudici dichiareranno illegittimo il recesso dal contratto da parte di ArcelorMittal ben prima, quindi, della scadenza tanto temuta. Intanto, però, i commissari dell’Ilva in amministrazione straordinaria, Francesco Ardito, Alessandro Danovi e Antonio Lupo, hanno incontrato il procuratore di Taranto, Carlo Maria Capristo, e presentato un’istanza chiedendo proprio la proroga del termine del 13 dicembre.
SE SI ARRIVA ALLA CAUSA – Se tuttavia le cose dovessero andare in modo diverso rispetto a quello auspicato da Conte e si dovesse arrivare a una battaglia giudiziaria (qualcuno ritiene sia già iniziata), per il premier “l’Italia avrebbe elementi per vincere”. Ma cosa accadrà in attesa di questa vittoria, già dalle prossime settimane? Per Bruno Inzitari “l’amministrazione straordinaria è l’unica possibilità, ad oggi, considerando da un lato gli alti costi sui contribuenti di una eventuale nazionalizzazione (ipotesi non esclusa dal premier) che andrebbe anche contro le regole comunitarie sulla concorrenza e, dall’altro, la smentita arrivata dal gruppo indiano Jindal” che ai tempi del governo Gentiloni aveva perso la gara contro Arcelor Mittal e che ha negato un attuale interesse per gli asset dell’ex Ilva. Con tutta probabilità, saranno dunque i commissari a dover gestire tutta la fase di ricerca di un nuovo acquirente.
LA GESTIONE ATTUALE DEI COMMISSARI – A questo riguardo, tra l’altro, occorre fare alcune precisazioni proprio sul ruolo che tuttora ha il controllo amministrativo straordinario dei commissari che, in primo luogo, ha finora svolto il compito di gestire la massa passiva dei creditori con il canone d’affitto pagato dalla multinazionale. Perché il contratto sottoscritto dai Commissari straordinari del Gruppo Ilva (non quelli attuali, subentrati solo il 1 giugno 2019) con ArcelorMittal, siglato a giugno 2017 (e diventato efficace il 1 novembre 2018, in seguito all’accordo con i sindacati) prevedeva l’affitto di rami d’azienda, finalizzato al loro acquisto da perfezionarsi successivamente. Quindi, alla fine del 2018, la multinazionale è diventata affittuaria di una parte significativa dei ‘complessi aziendali’ dell’Ilva, ma proprietaria di questi complessi resta l’amministrazione straordinaria. “Quindi anche dell’Altoforno 2”, sottolinea Inzitari. Ed è per questo che sono i commissari “a rispondere davanti al Tribunale di Taranto rispetto agli interventi di messa in sicurezza dell’altoforno in questione e di qualsiasi altra struttura”.
L’EVENTUALE ASTA – Se dovesse naufragare l’esperimento dell’affitto dei rami di azienda, i commissari dovranno capire se c’è un altro acquirente, raccogliendo manifestazioni di interesse e andando all’asta. “I tempi non sono stabiliti – spiega l’esperto -, normalmente parliamo di due o tre mesi, ma un caso complesso come quello dell’ex Ilva potrebbe richiedere più tempo”. Nel frattempo chi manda avanti la fabbrica? “Ai commissari spetta il compito di mantenere il valore dell’azienda cercando di tutelare l’occupazione con interventi straordinari, tipo la cassa integrazione”.
LA SITUAZIONE DEI LAVORATORI – A questo proposito occorre precisare che degli oltre 10mila lavoratori coinvolti nella vicenda, 8.500 sono stati assunti a tempo determinato da AM InvestCo Italy, la società costituita ad hoc da ArcelorMittal per partecipare alla gara (e di questi 1.300 sono già in cassa integrazione) e avrebbero dovuto essere assunti a tempo indeterminato entro il 2021, un volta perfezionato l’acquisto. Gli altri duemila, invece, sono ancora dipendenti Ilva in amministrazione straordinaria e avrebbero dovuto essere riassorbiti da ArcelorMittal entro il 2023. “Di fatto, la cassa integrazione – spiega Inzitari -, in caso di uscita di scena della multinazionale, si prospetterebbe per tutti”. E in caso non ci siano candidati che vogliano acquistare la fabbrica? “Si arriva a una sorta di liquidazione dell’azienda, come è già accaduto per altre realtà ma che – spiega Inzitari – nel caso dell’Ilva rappresenterebbe un disastro insostenibile, da un punto di vista politico, sociale ed economico”.