La dipendenza da cocaina potrebbe essere combattuta anche con le mini-scosse indolori. “La stimolazione magnetica transcranica si è rivelata efficace contro la dipendenza da questa sostanza, come dimostrano i risultati preliminari di uno studio condotto su 100 cocainomani” spiega all’agenzia di stampa Adnkronos Fabrizio Fanella, psicologo e psicoterapeuta, direttore sanitario del Centro La Promessa di Roma, struttura coinvolta nella sperimentazione insieme con Università di Chieti e con il Nida (National Institute for Drug Abuse).
Un approccio, precisa Fanella, “che, a livello clinico, nel nostro centro usiamo anche per la dipendenza da altre sostanze: eroina, farmaci, alcol, ma anche per il gioco d’azzardo e l’alimentazione compulsiva”. Un’opzione terapeutica fino a poco tempo fa sperimentata soltanto su ictus e altri tipi di patologie neurologiche, che “pur in assenza di studi specifici, ha dimostrato sperimentalmente di funzionare molto bene. Nella nostra ricerca”, racconta lo psicoterapeuta “i soggetti sottoposti a stimolazione magnetica transcranica sono stati confrontati con un gruppo di controllo, trattato con una somministrazione neutra, senza onde magnetiche”.
Per il momento sono stati pubblicati i risultati ottenuti su una ventina di pazienti: “a un mese dal trattamento il 60% ha smesso di far uso di cocaina, con una differenza molto significativa rispetto al gruppo di controllo”. Il trattamento normalmente è più lungo: “Tre mesi, più altri tre di mantenimento. Ci aspettiamo risultati ancora migliori quando avremo i dati finali, che verranno pubblicati in primavera”, dice Fanella. “Questo approccio agisce sul circuito compulsivo, in pratica smorzando il desiderio della sostanza di cui si abusa. Ecco perché funziona non solo sulle droghe, ma anche sui farmaci, sul cibo o sul gioco d’azzardo. Anche se non ci sono ancora studi specifici su queste diverse dipendenze. La stimolazione, in pratica, “bersaglia il desiderio di gratificarsi” attraverso una sostanza, o il gioco, “che risulta sregolato in questi pazienti”. E se i soggetti coinvolti nello studio erano giovani adulti, i pazienti del centro hanno dai 18 ai 60 anni: “Non abbiamo rilevato differenze di efficacia”, conclude Fanella.