Tredici condanne e un’assoluzione nel processo, celebrato con rito abbreviato, ai clan della provincia di Trapani e alla “famiglia” del boss latitante Matteo Messina Denaro. Le pene complessive stabilite dal giudice per l’udienza preliminare di Palermo, Cristina Lo Bue, ammontano a 150 anni di carcere per i reati, contestati a vario titolo, di associazione mafiosa e favoreggiamento.
Nicola Accardo, capomafia di Partanna e detenuto al 41 bis, ha avuto 15 anni; 12 ad Antonino Triolo, 11 a Calogero Guarino, 11 anni e 4 mesi per Giuseppe Tilotta, 10 anni e 8 mesi sono stati inflitti a Leonardo Milazzo, 11 anni e 4 mesi a Paolo Buongiorno, 19 anni e 4 mesi a Vincenzo La Cascia, capomafia del clan di Campobello di Mazara, anche lui al carcere duro.
A 18 anni e 4 mesi è stato condannato anche l’altro boss di Campobello Raffaele Urso, pure lui al 41 bis, a 8 anni Andrea Valenti, a 12 Filippo dell’Aquila, a 8 Angelo Greco. Due anni e 6 mesi sono stati inflitti a Bartolomeo Tilotta accusato di favoreggiamento, 3 anni e 4 mesi a Mario Tripoli. Unico assolto Giuseppe Rizzuto, che rispondeva di favoreggiamento. Originariamente tra gli imputati c’era anche Rosario Allegra, marito di Giovanna Messina Denaro, sorella del boss latitante, morto nei mesi scorsi.
Molti di loro erano finiti in manette nel corso dell’inchiesta “Anno Zero”. L’accusa in aula era sostenuta dall’aggiunto Paolo Guido e dai pm Francesca Dessì, Geri Ferrara, Alessia Sinatra, Claudio Camilleri e Gianluca De Leo. Altre 17 persone, coinvolte nella stessa indagine, sono sotto processo in ordinario: tra loro il cognato di Matteo Messina Denaro, Gaspare Como. Secondo l’accusa, Como sarebbe stato designato dal cognato, per un certo periodo, quale “reggente” del mandamento di Castelvetrano. Nell’inchiesta, è emerso, tra l’altro, l’interesse del clan anche nel settore delle scommesse online, oltre ai reati di estorsione e danneggiamenti.