Javier Zavaleta è il tredicesimo esponente del governo a rinunciare al mandato. Morales vola a Città del Messico e lascia il Paese dove imperversa il caos. Anche per Russia, Messico, Uruguay, Venezuela e Cuba si tratta di colpo di Stato, mentre per Trump la sua uscita di scena "apre la strada al popolo boliviano perché la sua voce venga ascoltata"
“Sorelle e fratelli, parto per il Messico. Mi ferisce lasciare il Paese per ragioni politiche, ma sarò sempre vigile. Presto tornerò con più forza ed energia”. Il Messico gli ha concesso asilo e l’ex presidente boliviano Evo Morales è partito da La Paz diretto a Città del Messico. Se ne va parlando di “colpo di Stato” sostenuto dai militari, mentre nel Paese permane un clima di incertezza, caos istituzionale e assoluto vuoto di potere. E dove l’esercito ha dichiarato che interverrà insieme alla polizia “per evitare spargimenti di sangue e lutti”. I militari saranno nelle strade usando “la forza appropriata contro le azioni dei gruppi vandalici che diffondono terrore nella popolazione” ma assicurano che “le forze armate non spareranno mai contro la popolazione”.
Il governo intanto si sgretola: lascia anche il ministro della Difesa Javier Zavaleta, tredicesimo esponente dell’esecutivo a rinunciare al mandato. Per 24 ore La Paz, e la vicina città gemella di El Alto, sono state al centro di ripetuti scontri, con atti di vandalismo e di violenza da parte di gruppi di militanti di entrambe le fazioni in conflitto, che hanno incendiato edifici e veicoli privati e pubblici, saccheggiando negozi e supermercati. Un gruppo di uomini incappucciati ha anche occupato l’ambasciata del Venezuela, il cui presidente Nicolas Maduro è tra i più leali sostenitori di Morales. La polizia, che ha a lungo rinunciato ad intervenire per respingere le azioni violente, lo ha fatto soltanto quando il suo comandante in capo, il generale Yuri Calderon, considerato vicino al governo uscente, ha rinunciato al suo incarico. I vertici del Tribunale elettorale sono stati invece arrestati ieri sera con l’accusa di brogli nelle elezioni generali del 20 ottobre.
Il comandante nell’esercito: “Nelle strade per fermare la violenza” – Le forze armate boliviane hanno annunciato che effettueranno operazioni congiunte con la polizia per contenere la violenza scatenata in diverse parti del paese in seguito alle dimissioni di Morales. “Il comando militare ha deciso che saranno condotte operazioni congiunte con la polizia per evitare spargimenti di sangue e lutti”, ha dichiarato il comandante dell’esercito William Kaliman in messaggio televisivo. Il capo dell’esercito ha invitato le sue truppe a usare “la forza appropriata contro le azioni dei gruppi vandalici che diffondono terrore nella popolazione” e ha annunciato che i militari si sarebbero dispiegati nelle strade “ricordando alla popolazione che le forze armate non spareranno mai contro di essa”. L’annuncio di William Kaliman fa seguito a una richiesta del capo della polizia di La Paz, che ha chiesto alle forze armate boliviane di intervenire per fermare la violenza causata nella capitale dai sostenitori di Evo Morales. “Ho chiesto al comandante in capo delle forze armate, il generale William Kaliman, di intervenire, perché la polizia boliviana non è aggiornata”, ha detto il colonnello capo della polizia di La Paz, il colonnello José Barrenechea.
Trump: “Momento significativo per la democrazia” – La fuga di Morales arriva dopo le dimissioni, che tecnicamente saranno effettive solo quando ci sarà una loro approvazione da parte del Parlamento, la cui riunione è però per il momento di là da venire. Questo fa sì che per il momento Morales resti ancora il presidente in carica. Lui parla di “colpo di Stato” imposto con il contributo decisivo dei militari, così come i paesi amici (Russia, Messico, Uruguay, Venezuela e Cuba) e vari organismi internazionali (Gruppo di Puebla e l’Alba, Alleanza bolivariana per i popoli della nostra America). Nicolas Maduro parla di “colpo di stato” “finanziato e diretto” dagli Stati Uniti dopo le dichiarazioni di Trump secondo cui l’uscita di scena di Morales è “un momento significativo per la democrazia” che “la mette al sicuro e apre la strada al popolo boliviano perché la sua voce venga ascoltata”. E avverte che quanto accaduto in Bolivia è “un segnale forte anche ai regimi illegittimi di Venezuela e Nicaragua“.
Le dimissioni del ministro della Difesa – Javier Zavaleta è il tredicesimo esponente del governo di Evo Morales a rinunciare al mandato, dopo la scelta del presidente di lasciare nel pieno della crisi politica e delle proteste successive alle elezioni presidenziali del 20 ottobre scorso. “Rinuncio all’incarico di ministro della Difesa chiarendo alla Bolivia e al mondo – ha dichiarato in un video – che la nostra volontà, quella del comandante generale delle forze armate e di questo ministro è sempre stata quella di preservare il ruolo istituzionale delle forze armate al servizio della popolazione“. “Mai – ha proseguito – abbiamo dato ordine ai nostri soldati di impugnare un’arma contro il popolo e mai lo daremo. Lo stato che abbiamo costruito è una Bolivia in cui un militare incarna la difesa a fianco del popolo e mai contro di esso”. La rinuncia di Zavaleta segue quelle dei colleghi dell’Istruzione Roberto Aguilar, dell’Economía, Luis Arce, della Giustizia, Héctor Arce, degli Idrocarburi, Luis Alberto Sánchez, delle risorse minerarie, César Navarro, del Lavoro, Milton Gómes, delle Opere Pubbliche, Óscar Coca, dello sviluppo, Nélida Sifuentes, della Pianificazione, Mariana Prado, della Cultura e Turismo, Wilma Alanoca, dell’Ambiente, Carlos Ortuño e dello Sport (Tito Montano).
Il quorum per la transizione – Il problema principale che affrontano le forze di opposizione (partiti e comitati civici) che si sono aggiudicate la vittoria politica è che lo Stato boliviano è al momento praticamente decapitato, viste le dimissioni presentate da Morales, dal suo vice Alvaro Garcia Linera, dai presidenti di Senato e Camera e anche dal primo vicepresidente della Camera Alta. Tecnicamente, fra l’altro, le dimissioni del capo dello Stato saranno effettive solo quando ci sarà una loro approvazione da parte del Parlamento, la cui riunione è però per il momento di là da venire. Questo fa sì che per il momento Morales resta ancora il presidente in carica. Inoltre si deve ricordare che il governativo Movimento al socialismo (Mas) ha il controllo dei 2/3 sia del Senato (25 membri su 36) sia della Camera (88 su 130), per cui senza una sua partecipazione non sarà mai possibile ottenere un quorum per procedere ad una transizione basata sulla Costituzione. In un preoccupato appello per risolvere questo problema, sia i comitati civici guidati Camacho sia il partito Comunidad Ciudadana di Mesa hanno lanciato un appello per permettere a senatori e deputati del Mas di raggiungere l’edificio del Parlamento senza subire attacchi.
Maradona: “Colpo di Stato orchestrato in Bolivia” – La leggenda del calcio Diego Maradona ha espresso il suo sostegno a Morales, che domenica si è dimesso dal suo incarico e ha denunciato “un colpo di stato orchestrato in Bolivia“. Il Pibe de Oro ha pubblicato su Instagram un messaggio con una foto di lui con Morales insieme sorridente, nel 2008. “Mi rammarico per il colpo di stato orchestrato in Bolivia, in particolare per il popolo boliviano, e per Evo Morales, una brava persona che ha sempre lavorato per i più poveri”, ha scritto l’ex capitano del Napoli e dell’Argentina. Nel corso della sua vita, Maradona in passato è stato un sostenitore di altri leader centro e sudamericani come Fidel Castro a Cuba e Hugo Chavez in Venezuela. Nel 2008, Maradona, attualmente allenatore del Gimnasia La Plata, si era schierato al fianco della nazionale boliviana, che aveva rivendicato il diritto di giocare in casa nella sua capitale, La Paz, situata a un’altitudine di 3.600 metri. In un recente messaggio, Maradona si è congratulato con Morales per la sua vittoria rivendicata nel primo turno delle elezioni presidenziali boliviane, contestata dall’opposizione.