La perdita di biodiversità ci costa fino a 145mila miliardi di dollari all’anno, più di una volta e mezza le dimensioni del Pil globale. È il valore delle funzioni degli ecosistemi, come l’impollinazione delle colture, la depurazione delle acque, la protezione dalle inondazioni e il sequestro del carbonio, per evitare che venga rilasciato in atmosfera. Veri e propri servizi ‘offerti’ dalla natura che l’uomo sta buttando via. È questo l’allarme lanciato nel corso dell’Aurelio Peccei Lecture 2019, organizzata dal WWF Italia, dalla Fondazione Aurelio Peccei e il Club di Roma e tenuta alla Camera dei deputati da Sir Robert Watson, chimico dell’atmosfera, ex presidente del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico IPCC, presidente fino al maggio scorso dell’IPBES, piattaforma intergovernativa promossa dall’Onu sulla biodiversità, nonché una delle figure più illustri e autorevoli nel campo della lotta ai mutamenti climatici a livello internazionale. “I cambiamenti climatici e la perdita di biodiversità non possono più essere considerati questioni separate, devono essere affrontate insieme e ora” ha detto Watson nel corso del suo intervento. “Compromettono lo sviluppo economico – ha aggiunto – minacciano la sicurezza alimentare e delle risorse idriche e la salute umana, colpiscono principalmente i poveri e possono portare a conflitti. È essenziale che i governi, insieme al settore privato, affrontino immediatamente questa emergenza”.
IL RAPPORTO SULLA BIODIVERSITÀ – Secondo l’IPBES, come sostenuto nel recente rapporto ‘Global Biodiversity Assessment on Biodiversity and Ecosystem Services’, almeno un milione di specie viventi sono e saranno in via di estinzione da qui ai prossimi decenni, su un totale di 8 milioni di specie esistenti al mondo. Il tasso totale di estinzione delle specie è oggi a un livello che supera dalle decine alle centinaia di volte la media del livello di estinzione verificatasi negli ultimi 10 milioni di anni. È stato sin qui documentato persino il rapido declino di diverse popolazioni di insetti in alcune aree e in diversi paesi, in particolare di molte specie impollinatrici (gli studiosi ritengono valida una stima del 10% complessivo di specie di insetti minacciati globalmente di estinzione).
I DANNI DELL’UOMO – L’intervento umano ha trasformato significativamente il 75% della superficie delle terre emerse, ha provocato impatti cumulativi per il 66% delle aree oceaniche ed ha distrutto l’85% delle zone umide. Oltre il 30% delle barriere coralline è a rischio e dal 1970 ad oggi lo stato di salute di molte popolazioni di diverse specie di vertebrati è declinato del 60%. Secondo gli studiosi dell’IPBES “questo sconcertante tasso di cambiamento globale della struttura e delle dinamiche degli ecosistemi della Terra, dovuto alla nostra azione, ha avuto luogo in particolare negli ultimi 50 e non ha precedenti nella storia dell’umanità”. Le cause principali sono, nell’ordine, la modificazione dei terreni e dei mari, l’utilizzo diretto delle specie viventi, il cambiamento climatico, l’inquinamento e la diffusione delle specie aliene.
I COSTI DELLA PERDITA DI BIODIVERSITÀ – Tutto ciò si traduce in costi. Tra il 1997 e il 2011 il mondo ha perso tra i 4 e i 20mila miliardi di dollari all’anno a causa del consumo eccessivo e scorretto del suolo e tra i 6 e gli 11mila miliardi di dollari l’anno per il degrado. Da qui il monito. “Il 2020 deve essere l’anno zero per la salvaguardia della biodiversità” con alcune tappe fondamentali, come la 15 ° Conferenza delle Parti (COP 15) della Convenzione sulla diversità biologica (CBD) che si terrà a Kunming, Cina e che dovrà approvare la nuova strategia decennale per la biodiversità fino al 2030, la scadenza di alcuni target dei 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’Agenda 2030 approvati da tutti i Paesi del mondo in sede ONU e i target fissati dell’Accordo di Parigi sul Clima. Ma le promesse che i vari paesi hanno sin qui messo a disposizione per decarbonizzare le proprie economie sono inadeguate.