A grandi passi verso l’addio, anche rischiando di forzare la mano. ArcelorMittal non fa marcia indietro e, mentre latita una data per il nuovo faccia a faccia con Giuseppe Conte, imposta la propria exit strategy dall’affitto dell’ex Ilva dando seguito agli annunci contenuti nella lettera sulla messa in sicurezza degli impianti inviata ai dipendenti il 4 novembre. Così da un lato i legali hanno depositato l’atto di citazione al Tribunale di Milano annunciato la scorsa settimana per il recesso dal contratto e dall’altro l’azienda ha consegnato ai lavoratori dell’altoforno 2 il cronoprogramma per lo spegnimento. Ha impostato insomma il percorso che porterà alla serrata dell’impianto che, salvo proroghe, dovrà essere portato a produzione zero il 13 dicembre a causa delle prescrizioni della magistratura in seguito alla morte dell’operaio Alessandro Morricella nel 2015 e degli ‘obblighi’ del tribunale solo parzialmente attuati.
Le irritualità – Ma ci sono almeno due irritualità nell’operazione portata avanti nello stabilimento ex Ilva di Taranto dalla multinazionale dell’acciaio. Innanzitutto la proprietà resta a tutti gli effetti di Ilva in amministrazione straordinaria, gestita dai commissari governativi, e lo spegnimento di un altoforno può comportare ingenti costi per la riaccensione che in caso di addio dovrà sopportare la gestione statale. Sono le tute blu della Cgil a sottolinearlo in una lettera inviata all’amministratore delegato Lucia Morselli: “Si ricorda, così come previsto dal contratto di affitto all’art. 13 dello stesso, che la conduzione dei rami d’azienda deve obbligatoriamente garantire l’efficienza degli impianti”, si legge nel documento visionato da Ilfattoquotidiano.it. I sindacati lamentano anche l’assoluto silenzio nel quale sta operando l’azienda rispetto al “fermo impianti”. Un mossa preventiva – assieme allo stop ai rifornimenti delle materie prime – che potrebbe diventare un boomerang nella partita a scacchi con il governo. Tanto che al Senato si è fatto sentire anche il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri: “Vogliamo il ripristino degli approvvigionamenti, l’Ilva deve continuare a produrre e il governo è impegnato collegialmente per questo obiettivo”, ha spiegato in audizione sottolineando che “gli obiettivi di bonifica sono tanto più realizzabili quanto più va avanti il piano industriale, sono strettamente legati”.
Fiom al Fatto.it: “Zero comunicazioni” – Il “fermo impianti” citati dai sindacati è un chiaro riferimento all’altoforno 2. A confermare la notizia dello spegnimento, ipotizzata lunedì sera sul sito del Corriere di Taranto, è Gianni Venturi della Fiom-Cgil: “Non ci hanno informato di nulla – dice a Ilfattoquotidiano.it – Il cronoprogramma è stato illustrato solo agli operai che lavorano su quell’impianto. Incredibile. Per questo Rsu e delegazioni territoriali hanno chiesto un incontro urgente sugli assetti impiantistici. Anche perché le tappe per lo spegnimento di Afo 2 non sono l’unica novità degli ultimi giorni”. Venturi spiega che è anche “stata fermata l’acciaieria 1 e tutto viene caricato sull’acciaieria 2″, dove martedì mattina si è verificato un grave incidente.
L’incidente – Una siviera – una sorta di cestello di enormi dimensioni che contiene metallo fuso – appena uscita dal ‘Convertitore 1’ si è bucata “sversando acciaio in fossa e procurando fiamme altissime che hanno raggiunto alcune tubazioni di gas”, denunciano Fim, Fiom e Uilm, precisando che “solo l’intervento tempestivo dei vigili del fuoco che hanno gestito l’emergenza in maniera professionale ha evitato il peggio”. Secondo i sindacati nel corso dell’intervento è emersa anche “una mancanza inaudita: la completa assenza della distribuzione d’acqua della linea d’emergenza che doveva essere utile al reintegro delle cisterne e di supporto a tutta l’acciaieria in caso di incendio”.
Il cronoprogramma – Anche per questo è stato richiesto un confronto urgente con i vertici aziendali, alla luce della situazione manutentiva e del progetto di spegnimento dell’altoforno 2. La “prefermata” è al momento prevista per il 20 novembre, mentre quattro giorni l’altoforno gli operai dovrebbe iniziare a caricare meno ghisa al suo interno e il 25 novembre la programmazione prevede la fuoriuscita della ghisa che si deposita nell’altoforno e lì resta, salvo lo spegnimento. “Si tratta di operazioni delicate che richiedono diverse settimane, in modo che l’altoforno venga messo in sicurezza e non si pregiudichi una sua ripartenza”, aggiunge Venturi.
Conte-Mittal: per ora nessun incontro – Intanto non ci sono novità sull’incontro tra il premier Giuseppe Conte – che in mattinata ha visto gli eletti M5s in Puglia – e la proprietà di ArcelorMittal dopo il faccia a faccia della scorsa settimana nel quale l’azienda ha comunicato il suo disimpegno e posto richieste per una possibile marcia indietro, dalla reintroduzione dello scudo penale ai 5mila esuberi. Il presidente del Consiglio aveva parlato di “48 ore” prima di un nuovo aggiornamento, ma sono passati 5 giorni e al momento ci sono vertici in programma. Sintomo di una situazione di stallo tra incertezze politiche e la volontà della multinazionale dell’acciaio di non recedere dai propri intenti. Mentre anche i tre leader dei sindacati – Rocco Palombella, Francesca Re David e Marco Bentivogli – hanno inviato una lettera all’azienda chiedendo un incontro al ministero dello Sviluppo economico e dicendo che a loro avviso “non ci sono le condizioni per il recesso”.
Le ipotesi – In uno scenario fluido, continuano ad affastellarsi ipotesi per uscire dalla fase di impasse: tra sondaggi per un intervento pubblico (da Invitalia a Cassa Depositi e Prestiti) per dare un segnale distensivo ad ArcelorMittal e la possibilità di mediare sul numero di esuberi, portandoli a 2500-3000, oltre ai 1.300 già in cigo da luglio e ai circa 2.000 rimasti in carico all’amministrazione straordinaria dopo l’accordo sindacale di settembre 2018. Vie strettissime, mentre il colosso della siderurgia continua ad abbassare la produzione e si prepara a restituire le chiavi.