Nel dicembre 2013 un baldo giovanotto di nome Matteo Renzi, a quel tempo praticamente uno sconosciuto per la gran parte degli italiani, è stato catapultato nella grande arena politica italiana dalle elezioni primarie per la carica di segretario del Pd, raggiungendo poi, quasi d’un balzo, la carica di primo ministro del governo della Repubblica, cioè capo dell’esecutivo della nostra democrazia. Una responsabilità immensa per uno che non era mai stato nemmeno parlamentare.
Eppure lui, dopo la nomina, non ha voluto rimettere l’incarico di segretario del Pd, che comprendeva a quel tempo anche la maggioranza relativa nel Parlamento cioè il vertice del potere legislativo. Era evidente fin dall’inizio che il giovanotto si fosse caricato troppi poteri sulle spalle per riuscire a fare un buon lavoro. Col tempo però ci si è accorti che non è mai stata la somma di enormi responsabilità a metterlo in ansia ma l’esatto contrario, ovvero la paura di veder sparire il suo potere. Talmente forte, quella paura, che dopo aver promesso il suo ritiro dalla politica se avesse perso la fiducia degli italiani nel referendum non è mai stato capace di mantenere la sua stessa parola, nemmeno per un adeguato periodo di tempo.
Ecco, questo “tipetto” sveglissimo, intelligente, talvolta persino simpatico ma assolutamente incapace di diventare affidabile, è la prima grossa spina nel fianco della nostra sofferente Repubblica.
La seconda grossa spina oggi è Beppe Grillo. Non sto a rifare la storia dell’irresistibile ascesa del verboso comico che è riuscito davvero ad aprire come una scatola di tonno il nostro Parlamento fino a farci entrare, con il suo Movimento 5 Stelle, diverse centinaia di giovani raccolti nelle piazze.
Vincendo le elezioni dello scorso anno, come partito di maggioranza relativa toccava a loro trovare le alleanze nel Parlamento per formare il nuovo governo. Il loro leader Luigi Di Maio (già parlamentare nella precedente legislatura), nominato “capo politico” da Grillo (che non ha ruolo formale nel Movimento), ha condotto le trattative su incarico del capo dello Stato Sergio Mattarella e, dopo lunghe vicissitudini, ha trovato un accordo con Matteo Salvini, segretario della Lega, per formare il governo.
Hanno lavorato insieme, con buoni risultati, per circa un anno (penso al reddito di cittadinanza, per esempio), ma in pieno mese di agosto di quest’anno Salvini, che nel frattempo aveva raggiunto la vetta nei sondaggi grazie anche a una politica di estremo rigore verso gli immigrati, ha rotto la maggioranza e ha aperto la crisi di governo, sperando che Mattarella sciogliesse le Camere e mandasse tutti al voto anticipato.
Ma non è andata così, anche perché l’ex leader pd Renzi (derubricato dal popolo a semplice senatore) anticipando tutti ha aperto (scavalcando anche i vertici del proprio partito) alla possibilità di formare una nuova maggioranza governativa con i 5 stelle. Solo che essendo noto a tutti che Nicola Zingaretti, l’attuale segretario Pd, era inizialmente contrarissimo a questo accordo, come avrebbe potuto l’“odiato” Renzi riuscire a convincere Di Maio – che pure aveva ricevuto da Salvini in quegli stessi giorni l’offerta di premierato in extremis, nel tentativo di rimettere in piedi il sodalizio M5S-Lega – a mettersi ancora da parte?
Io credo che l’unico che avrebbe potuto fargli accettare quell’“amaro calice” potesse essere Grillo, il quale, pur senza aver tenuto alcun incontro formale coi leader pd (che del resto non poteva tenere, non ricoprendo alcun incarico istituzionalmente riconosciuto per decidere a quel livello), ha convocato a casa sua un vertice al massimo livello dei M5S decidendo che il capo politico doveva “girarsi dall’altra parte” per qualche giorno e lasciar fare a chi era meno tentato da soluzioni personalizzate del caso. In questo modo però il risultato è stato quello di aver generato un governo dei numeri, deciso da accordi extra-istituzionali di cui proprio nessuno era nemmeno “innamorato”.
Il mio “codice etico” del politico, se correttamente applicato, sarebbe bastato ad evitare questi pastrocchi istituzionali, ma la nostra povera democrazia ormai non è più nemmeno “partitocrazia”. Per qualcuno è già diventata proprio un inaccettabile “partito personale”.
Naturalmente Grillo non poteva sapere in agosto quello che Renzi avrebbe fatto in settembre (quando Renzi, deluso da Zingaretti, ha spaccato di nuovo il Pd per riconquistarsi fette di potere esecutivo) ma il suo tentativo di rimediare alla “frittata” fatta da Salvini ha solo tolto potere al suo pupillo Di Maio e consistenza al suo Movimento, che ora rischia addirittura di spaccarsi in mille rivoli e sparire. Quindi è ora che anche Grillo si decida: se vuole comandare nel M5S si faccia nominare dai suoi e rispetti le regole, altrimenti se ne stia fuori e faccia anche lui come tutti gli “emeriti” del mondo: dia consigli ma si astenga dal comandare.
La terza spina, neanche a dirlo, è Salvini, che nonostante la sua grossolanità (in qualche caso anche crudeltà) di governo e persino di inconcepibile ingenuità (facendosi mettere nel sacco in agosto da uno sveglissimo “ripetente”) torna ora ad arringare il “suo” popolo facilone, facendo finta che a sbagliare siano stati gli altri. A lui però non si possono imputare deliberati atteggiamenti extra-istituzionali, quindi siamo noi semplici elettori a dovergli ricordare che, se vuole giocare sul piano della furbizia, non è lui il più furbo in campo e non è quella la strada da seguire in una corretta democrazia.