“Tutte le aziende dovevano pagare per poter lavorare: in alcuni casi si trattava di versamenti mensili, in altri di pagamenti una tantum. E a Natale all’interno del cantiere, a Marghera, era un via vai di furgoni carichi di costosi regali per dirigenti e funzionari”. È uno spaccato di ordinaria corruttela e ormai anche ordinario sfruttamento quello che viene raccontato da Alì Md Suhag, il bengalese di 35 anni, titolare della Venice Group srl, che effettuava i lavori di carpenteria sulle grandi navi. È lui uno dei personaggi-chiave dell’inchiesta per sfruttamento dei lavoratori e per la copertura che sarebbe stata garantita dai responsabili Fincantieri. Il pm Giorgio Gava gli ha dato credito, visto che ha iscritto una trentina di nomi sul registro degli indagati grazie alle sue confessioni. La Guardia di finanza di Mestre ha effettuato i controlli e messo a segno un blitz con decine di perquisizioni. L’azienda pubblica nega su tutta la linea e si dichiara estranea a ogni illecito.
Una corruzione diffusa quella che viene disegnata nelle parole di Suhag. Nel senso che tutte le aziende impegnate nei cantieri di Marghera con la loro manodopera, secondo questa ricostruzione, erano tenute a pagare. Soldi, somme fisse mensili, quasi una specie di libro-paga per dirigenti della società. Ma anche regali, cellulari, orologi, computer. Li portavano perfino con i camioncini dentro lo stabilimento, quando veniva Natale.
Il bengalese è stato arrestato un anno fa per sfruttamento di manodopera e ha ammesso le paghe da fame. Adesso verrà processato il 5 dicembre, assieme al fratello Ali Md Nayonper. Ma si è giustificato affermando di essere stato vittima di un sistema illecito imposto a tutte le ditte. È il meccanismo di Tangentopoli, trasportato in un ambiente diverso da quello della politica, nel mondo delle piccole imprese che realizzano lavori per conto del colosso della cantieristica. Ecco cosa ha detto.
L’uomo ha spiegato le origini della sua attività: “Fui assunto in una delle società di Ali Mohammed, presidente della Comunità del Bangladesh di Mestre, responsabile di Bensaldo e Sonda. Nel 2012 due dirigenti Fincantieri mi proposero di costituire una società perché era arrivata la commessa per la Costa Diadema e non sapevano come fare. Così mi procurai i soldi necessari, vendendo terreni di famiglia in Bangladesh. Fondai Venice Group, con 7 dipendenti. Fu Ali Mohammed a dirmi fin da subito che bisognava pagare, chiedendomi di dargli 70mila euro che sarebbero serviti ad acquistare regali per i dirigenti Fincantieri”.
La descrizione è analitica. “Mi mostrò un orologio da 18mila euro comperato con quei soldi e consegnammo un computer a un dirigente. In occasione del primo Natale mi fu detto che sarebbe stato sufficiente ringraziare i dirigenti con una penna Montblanc e ne acquistai una decina, spendendo tra 400 a 700 euro l’una. Ma presi anche una trentina tra telefonini, tablet, orologi per tutti gli altri capi: alcuni segnavano su un bigliettino il modello preferito…”. Possibile che si sia inventato tutto? Grazie anche a quei regali, Venice Group è cresciuta come società di riferimento per i lavori di carpenteria a Marghera e in altri cantieri italiani. Suhag ha spiegato di essere arrivato ad avere fino a 250 dipendenti.
Il sistema di pagamento era quello della “paga globale”, un meccanismo collaudato in Fincantieri: circa 5 ore all’ora (ma in qualche caso anche 4 euro) tutto compreso, senza straordinari, ferie, malattie e trattamento di fine rapporto. I turni a cui i lavoratori erano costretti arrivavano anche a 12 ore. Per questo molti di loro, stando alle indagini, facevano ricorso allo Yaba, la “droga di Hitler”, per non provare fame o stanchezza.
“Fincantieri sapeva perfettamente cosa accadeva perché controllavano le ore di lavoro di ciascun operaio e noi depositavamo loro le buste paga. Ogni commessa mi veniva affidata ad un costo sottostimato: dicevano che bastavano cento ore quando alla prova dei fatti ne servivano dieci volte tante”. E quindi sono cominciati i primi problemi per far quadrare i conti, con richiesta di adeguamento del numero di ore pagate. “Per ottenere un’integrazione era necessario pagare il dirigente responsabile, ma anche così si lavorava in perdita in quanto non venivano mai riconosciute le ore di lavoro effettivamente necessarie: alla fine, quando ho chiuso dopo l’arresto, ho quantificato oltre 700mila ore di lavoro non pagate, per una perdita di circa 20 milioni di euro. Un centinaio di operai aspettano ancora di essere retribuiti, ma se Fincantieri non paga non c’è soluzione”.
Una somma enorme. Ma notevole era anche la spesa per i regali. Il bengalese ha quantificato in 100mila euro la somma impiegata nel 2016 e nel 2017. “Tutte le aziende erano costrette a pagare e a fare costosi regali: me l’hanno confidato molti dei titolari. Il 10 per cento dell’ammontare dei lavori andava in mazzette”. E se protestava? “’Abbiamo dalla nostra Finanza e giudici’, mi disse un dirigente. Ma quando nel 2018 si seppe dell’inchiesta, temevano che li registrassi: mi facevano togliere la giacca e controllavano che non avessi il cellulare quando andavo a parlare con loro. Poi sono stato arrestato”.
La replica che viene dai dirigenti è che Alì Md Suhag si sia inventato tutto per ritorsione nei confronti di Fincantieri, per essere stato estromesso dagli appalti per alcune irregolarità. E la società si è dichiarata estranea al pagamento di mazzette. Eppure nel decreto di sequestro del pubblico ministero Gava è indicata la tipologia dei pagamenti. Erano di tre tipi: una tantum per inserire le società nell’albo fornitori, per l’affidamento di commesse e per concedere integrazioni di ore, i cosiddetti “documenti di coordinamento delle modifiche”. E c’è un elenco di dazioni. Un dirigente avrebbe ricevuto 10mila euro tramite un commercialista. Un altro un orologio da 5mila euro. Un terzo dipendente Fincantieri, da 10 a 5 mila euro. Ma in alcuni casi si sospetta che fossero a libro paga, con pagamenti mensili. E per tre dirigenti una vera “tangente del 10% di tutte le somme integrative corrisposte per ‘non conformità’”. Come aveva detto Ali Suhag.