Con dispettosa tempestività quest’autunno la situazione meteorologica si è messa di traverso ai facili profeti della fine dello sci nell’epoca del riscaldamento globale. E così l’apertura anticipata a metà novembre delle stazioni sciistiche non riguarda solo i consueti ghiacciai e le piste intorno ai 3mila metri, ma anche località come Cortina e Madonna di Campiglio. Gli esperti dell’Ocse parlano di “Linea di affidabilità della neve” (Lan), per indicare l’altitudine sotto la quale sarà impossibile garantire la tenuta del manto nevoso sciabile per il turismo invernale.
Ebbene, la Lan si fermerebbe a 1.650 metri di altitudine, nel caso di un nuovo incremento medio di 1 grado delle temperature (più che probabile); salirebbe addirittura a 2,1 mila metri, con 4 gradi medi annuali in più, previsti per il 2030. A Lan 1 restano operative circa il 30% delle località sciistiche del nostro arco alpino; se si arriva a Lan 2, invece, il 18% appena.
Ma gli scenari sono chiacchiere rispetto agli affari. E perciò dappertutto sull’arco alpino impazzano grandi lavori per ampliare la rete degli impianti di risalita e dotarli di più capienti bacini idrici e di sistemi d’innevamento artificiale efficientissimi, per costruire ancora piste e soprattutto collegamenti tra i vari comprensori, anche nei territori più impervi, come in Valle d’Aosta, nel cuore del Monte Rosa. La parola d’ordine è gigantismo. Alcuni imprenditori di peso lavorano per stendere definitivamente una grandiosa linea continua di piste e impianti tra Cortina, l’area del Sellaronda e la Marmolada.
Un altro progetto di nuovo maxi-comprensorio dello sci si snoda tra la Val Pusteria sotto le tre Cime di Lavaredo, il Comelico veneto e l’Austria del Thurnthaler, per iniziativa di un protagonista del sistema Tirolo come Senfter, già re dello speck e ora imprenditore turistico a tempo pieno. E non stanno certo alla finestra gli altri trust locali, come il gruppo monopolista dell’informazione Athesia, che si è lanciato nell’avventura del rilancio turistico della val Senales, con gli impianti sul ghiacciaio della mummia Otzi, tra nevi che furono perenni e oggi vengono in qualche modo protette da teli e rimaneggiate da ruspe.
Evidentemente i “capitani coraggiosi” dell’arco alpino non guardano troppo per il sottile: che siano pochi o tanti gli anni da sfruttare, il bottino è ricco. Non manca chi dà per scontato che alla fine il fragile ecosistema delle nostre montagne possa reggere ancora a nuovi interventi umani e che lo sviluppo, supportato tecnologicamente come si conviene, possa sempre farsi beffe della natura, arrivando a violare anche leggi elementari come quella dello zero termico, grazie al futuribile mix arcobaleno tra piste di plastica verde e strisce di neve garantita da nuovi impianti che funzionano anche intorno ai 2-3 gradi (come un’azienda israeliana ha costruito per le acque di scioglimento del ghiacciaio di Pitzal) e addirittura fino a più 6 gradi (come fa il prototipo 2 di un sistema innovativo del colosso mondiale Leitner di Vipiteno).
Il futuro “iper-tecno-gigantista” dello sci inquieta e fa discutere, anche perché in ballo ci sono le nostre splendide montagne alpine e la conservazione di un habitat non solo naturale ma umano e culturale. Un purista verde come Reinhold Messner, per esempio, si è schierato accanto alla popolazione del Comelico, in favore del progetto di collegamento tra Alto Adige, Austria e Veneto.
Sarà sensibile anche al profumo dello speck e ai tirolesi che contano, Messner, ma ha buone ragioni quando spiega che si sta giocando una partita decisiva per non lasciare all’abbandono una parte delle alte quote dolomitiche, considerato che il modello di sviluppo resta così legato al turismo, e quindi agli sport invernali, e dato che lo sci senza consorzi di centinaia di km quadrati non ha prospettive.
Chi pensa che alla fine siano questioni che toccano da vicino poche persone – un pugno di imprenditori, qualche pattuglia di ambientalisti oltranzisti, alcune amministrazioni locali e al massimo appena il 2% più abbiente della popolazione, cioè la quota che oggi si calcola sia il mercato potenziale dello sci – sbaglia di grosso. In ballo ci sono colossali investimenti pubblici, cospicui finanziamenti europei, fondi dello Stato e delle Regioni, a partire dalla quantità di milioni che verranno spesi per le infrastrutture e per gli impianti delle nostre prossime Olimpiadi invernali.
Tra l’altro è stato appena scelto il manager capofila di Milano-Cortina 2026: è Vincenzo Novari, figura di provata esperienza nel ramo della telefonia mobile, che Matteo Renzi voleva mettere a capo della Rai; è stato preferito – si legge – a Stefano Domenicali, già direttore corse della Ferrari e ora alla Lamborghini.
Del resto, il sindaco Giuseppe Sala e il Coni avevano garantito che sarà una manifestazione prototipo di sostenibilità ambientale.