Benessere animale, si fa per dire. Perché già oggi, in Italia, su molti prodotti di origine animale che troviamo tra gli scaffali dei supermercati possiamo trovare diciture quali ‘fresco di allevamento’, ‘genuino’ e ‘100% naturale’ che nulla dicono rispetto alle effettive modalità di produzione. E proliferano in maniera selvaggia le più svariate etichette sul cosiddetto ‘benessere animale’, dietro le quali si nascondono metodi di allevamento che, in realtà, hanno uno scarso impatto positivo sulla loro vita. Sulla carta, il progetto di certificazione del benessere animale portato avanti in maniera congiunta dai ministeri delle Politiche Agricole e della Salute e presentato lo scorso 21 ottobre alle sole associazioni di allevatori, produttori e veterinari dovrebbe migliorare i livelli di trasparenza. Eppure, il sistema attraverso il quale si dovrebbe indicare ai consumatori, in maniera univoca, quali siano i prodotti con caratteristiche superiori alla legge in termini di benessere animale preoccupa le associazioni che da sempre si occupano della loro tutela.
LA PROPOSTA CRITICATA – Compassion in World Farming italia (Ciwf), Enpa, Greenpeace e Legambiente ritengono che questo progetto sia un tentativo “per sdoganare e imbellettare i prodotti da allevamento intensivo sul banco del supermercato, proponendo criteri al limite del rispetto della legge”. Basti pensare che quello che verrebbe definito ‘benessere animale’, spiegano le associazioni, “prevederebbe solo 0,1 metri quadrati in più di spazio per un suino di 170 chilogrammi, che avrebbe quindi a disposizione 1,1 metri quadrati, invece che un metro quadrato previsto dalla normativa europea”. Inoltre, la certificazione riguarderebbe solo la fase di ingrasso e non comprenderebbe la riproduzione. Questi e altri i punti critici di un proposta che non convince.
LA NUOVA CERTIFICAZIONE DEGLI ALLEVAMENTI ZOOTECNICI – Il progetto è stato presentato lo scorso 21 ottobre agli stakeholder della produzione e della trasformazione dei diversi comparti delle varie produzioni zootecniche italiane nel contesto di una riorganizzazione del sistema di certificazione nazionale che ha visto la Direzione generale della sanità animale e dei farmaci veterinari (Dgsaf) dotarsi del sistema integrato ClassyFarm: uno strumento con adesione a base volontaria, messo a disposizione di medici veterinari e allevatori e finalizzato alla categorizzazione dell’allevamento in base al rischio. Le informazioni messe a disposizione attraverso ClassyFarm dovranno essere integrate con quelle raccolte in allevamento a seguito della riorganizzazione del sistema nazionale di miglioramento genetico animale disposta dal decreto legislativo 52 dell’11 maggio 2018 cui il Ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali e il Ministero della Salute dovranno dare attuazione. L’incontro di ottobre è stato organizzato proprio dalla Dgsaf e dal Dipartimento delle politiche europee e internazionali e dello sviluppo rurale (Dipeisr) per illustrare le nuove modalità di certificazione della qualità. I due dicasteri hanno lavorato a protocolli applicabili ai diversi allevamenti, a cominciare da quelli dei suini da ingrasso.
COSA CHIEDONO LE ASSOCIAZIONI – Ciwf, Enpa, Greenpeace e Legambiente esprimono però “estrema preoccupazione per il progetto di certificazione volontaria nazionale dei prodotti di origine animale, che per i suini da ingrasso prevederebbe un solo livello con criteri di pochissimo superiori ai limiti di legge”. Ed è per questo che chiedono, invece, un’etichetta che indichi chiaramente il metodo di allevamento per tutelare, oltre al benessere degli animali e l’ambiente, anche gli allevatori virtuosi, nonché il diritto di scegliere dei consumatori. Le associazioni sottolineano che la certificazione ‘benessere animale’ sarebbe attribuita a prodotti suinicoli provenienti da scrofe allevate in gabbia. A questo si aggiunge che nessun livello superiore sembrerebbe essere previsto. “Questo significa – spiegano le associazioni – che tutti gli allevatori virtuosi che già applicano criteri decisamente più sostenibili, anche i più piccoli, che dovrebbero essere maggiormente tutelati da chi dichiara di avere a cuore il Made in Italy, sarebbero danneggiati dall’impossibilità di distinguersi sul mercato”.
LA PETIZIONE – Le associazioni chiedono che venga elaborata al più presto una roadmap della transizione verso sistemi di allevamento più sostenibili, con una conseguente politica fiscale. E ricordano che in Italia, dove vengono allevati circa 620 milioni di animali ogni anno (565 milioni è la stima del numero di animali allevati in sistemi intensivi) decine di migliaia di cittadini hanno chiesto con una petizione che la certificazione volontaria nazionale preveda il metodo di allevamento in etichetta. “È inaccettabile – commentano – come accade purtroppo oggi, che al claim ‘benessere animale’ corrispondano prodotti provenienti indistintamente da animali allevati al pascolo, in stalla o legati tutta la vita, come nel caso delle vacche da latte”.
Il rischio è quello di ritrovarsi davanti sempre le stesse etichette che possono ingannare i consumatori sulle condizioni di vita degli animali. La dicitura ‘benessere animale’, in particolare, “non dà nessuna informazione sul metodo di allevamento – spiegano ancora Ciwf e Legambiente – e può essere applicata anche a prodotti provenienti da allevamenti intensivi rendendoli indistinguibili, ad esempio, dai prodotti provenienti da allevamenti all’aperto”.