L’umore è quello della rassegnazione mista a smarrimento. La crisi sul capitolo Ilva per il Movimento 5 stelle è molto più in un dossier sul tavolo da risolvere il prima possibile per salvare indotto e lavoratori. È l’ennesima prova di tenuta di un gruppo che da mesi ormai fatica a riconoscersi nel suo leader e che, nei fatti, non lo segue più. Anche per questo le parole di Luigi Di Maio, al termine delle riunioni dei parlamentari M5s di Camera e Senato, hanno lasciato senza parole chi ha partecipato agli incontri: “Il Movimento è compatto”, ha detto il capo politico davanti alle telecamere.
In realtà sotto la superficie, il gruppo “ribolle” da giorni. La prova è nel documento che i parlamentari hanno approvato ieri notte: il testo è diviso in quattro punti e se in testa si ribadisce il no allo scudo penale per ArcelorMittal, in coda si dice che “in caso fosse messa in discussione la maggioranza a causa di questa posizione”, il ministro dello Sviluppo economico Stefano Patuanelli dovrà tornare davanti alle due assemblee M5s per ridiscuterla. Che tradotto significa: nessuno cerca la crisi di governo e non sarà certo il gruppo parlamentare del Movimento a dare ultimatum. Non è un dettaglio: i portavoce di Camera e Senato nelle scorse ore sono stati sollecitati proprio dal capo politico Di Maio a esprimere una posizione e loro hanno scelto di dare mandato a Patuanelli (e quindi non a Di Maio) di rappresentare le posizioni. Insomma, l’ennesimo segnale di un clima tesissimo.
Il timore sempre più diffuso è che il leader M5s abbia più di una tentazione di far saltare il tavolo con il Pd, anche se, è il lamento più diffuso, tutti si chiedono “per portarli dove”. “Vogliamo ridurci a fare governi di durata balneare come la peggiore Democrazia cristiana?”, commenta un senatore nella pausa sigaretta in Senato. “Che senso ha spaccare tutto di nuovo e farlo ora?”. Fanno paura i sondaggi, ma anche l’orizzonte. Perché il capo politico da mesi promette la riorganizzazione del Movimento e la nascita di una specie di segreteria, ma non è chiaro quando questa effettivamente vedrà la luce e se davvero sia una struttura pensata per condividere le responsabilità o solo una mossa per distrarre l’attenzione. Senza dimenticare il caos Regionali: in Emilia Romagna sta andando in scena una vera e propria rivolta degli attivisti che chiedono di candidarsi, mentre i vertici (Max Bugani in testa) lavorano nel senso opposto.
Insomma momenti così brutti nel Movimento non si erano mai visti. “Siamo nel limbo e subiamo gli strappi continui di un capo che pensa ad andare avanti da solo”, dice un’altra fonte a Ilfattoquotidiano.it. “Noi la battaglia contro lo scudo penale la facciamo, ma non ci vengano a dire che è il problema su cui far saltare tutto”. Insomma le grida in assemblea della ex ministra Barbara Lezzi che promette di far mancare i voti se il governo non fosse compatto sul no all’immunità per ArcelorMittal, sono solo una parte della storia. “Facile fare i ribelli ora che si è stati scartati”, è il commento maligno dei colleghi per l’ex fedelissima e ora tra i primi contestatari della linea Di Maio. “Ricordiamoci che sono tante le valutazioni da fare”. Anche perché i paletti su cui i 5 stelle da inizio legislatura hanno ceduto cominciano a essere più di uno e i parlamentari se li sono tatuati in fronte: il Tap sicuramente, ma soprattutto la pagina nera del via libera alla Tav. Quindi, è il ragionamento, perché sull’Alta velocità non si è tornati alle urne e sull’Ilva si dovrebbe farlo? “Almeno siamo coerenti e portiamo fino in fondo il taglio dei parlamentari su cui tanto ci siamo battuti”, aggiungono. Il rischio infatti è che, in caso di voto anticipato, il nuovo Parlamento sia eletto senza la riduzione chiesta e ottenuta dai grillini: il ddl Costituzionale è stato approvato, ma manca l’ormai probabile referendum confermativo.
Gli aggettivi con cui i parlamentari descrivono il leader Di Maio in queste ore sono tutti più o meno simili: “Confuso”, “debole”, “in cerca di una strategia”, “incapace di fare sintesi tra le varie posizioni”. “È finito il tempo”, spiegano ancora, “in cui il capo si alza in piedi, detta la linea e noi seguiamo ciecamente le sue parole”. Ovvero, il ministro degli Esteri potrà anche avere in testa una via d’uscita dallo stallo che contempli la crisi di governo, ma non è mai stato così solo come in queste ore. E la scusa del “non c’è alternativa alla sua leadership” non sembra più essere sufficiente. Abbandonato il ministero dello Sviluppo Economico in tempo per non doversi “smazzare” la crisi Ilva, si è visto persino togliere la scena del leader in ascolto con il premier Conte volato a parlare con gli operai. Insomma non è un caso che i parlamentari abbiano scelto di incaricare Patuanelli di rappresentarli al tavolo di governo. “Ma solo perché il ministro è un ex capogruppo, ci ha ascoltato per tre ore in assemblea e conosce bene la situazione”, cerca di ridimensionare qualcuno della parte più moderata del gruppo. Ma è come dire che serve qualcuno di fiducia e Di Maio non dà più questa garanzia. Può un leader essersi logorato a questo punto? Il parlamentare, come tanti in queste ore, non risponde. Anzi se ne va canticchiando “Don Chisciotte” di Francesco Guccini: “Il potere è l’immondizia della storia degli umani…”.