Nel campionato di calcio vince la squadra o la società? Si risponderà che la domanda è impropria in quanto le due entità costituiscono un tutt’uno. Da alcuni anni è la società che più si caratterizza. Il calcio moderno è un business e richiede di essere guidato da logiche imprenditoriali. Proprio per questo vince la società che più investe nella squadra. In un’altra occasione abbiamo messo in evidenza la diretta relazione fra i fatturati delle società di serie A e il risultato conseguito alla fine del campionato. La Juventus, la società più ricca, conferma questa regola, avendo vinto gli ultimi otto campionati e, secondo gli esperti, ha buone chance di rivincere il campionato in corso.
La Juventus è un modello aziendale. Uscita da ‘Calciopoli’ ha saputo riorganizzarsi: lo stadio di proprietà e la quotazione in Borsa sono state le due molle che hanno dato lo slancio ad una crescita esponenziale. Una proprietà stabile (il 64% appartiene a Exor, della famiglia Agnelli) e disponibile al finanziamento la rafforza (di recente è stato deliberato un aumento di capitale di 300 milioni).
Il fatturato ha raggiunto 621 milioni (molto più delle altre società). I ricavi sono cresciuti di +14% in media annua negli ultimi nove anni. Il calcio moderno impone di operare come le società dello spettacolo, dove i ricavi sono ‘determinati’ dai costi: più questi aumentano, più aumentano gli investimenti sulla squadra, la quale ha più probabilità di mantenere la leadership e ottenere così più ricavi. La stessa operazione-Ronaldo sembra più legata a logiche di marketing che a quelle prettamente sportive (anche se la società è stata costretta ad emettere un prestito obbligazionario di 175 milioni, operazione finanziaria che difficilmente le altre società potrebbero realizzare).
Il meccanismo funziona finché le risorse aumentano. In effetti finora il sistema-calcio è cresciuto, uno dei pochi settori industriali che non conosce la parola crisi (c’è da meravigliarsi che a nessuno sia venuta l’idea di una maggiore tassazione sui compensi dei calciatori!). La recente proposta di Mediapro sui diritti televisivi del campionato, per il triennio 2021-’24, innalza il compenso annuale a 1.324 milioni: quindi le prospettive, in particolare per i grandi club, rimangono ancora buone.
Qualche segnale negativo però si intravede. Per esempio l’indebitamento finanziario della Juventus (società presa a modello) è arrivato al 69% del fatturato (nel 2010 era il 14%). Cresce anche, da parte di tutte le società, l’utilizzo delle ‘plusvalenze’ (pari 25% dei ricavi), spesso utilizzate dai grandi club come un artificio contabile per aumentare i ricavi (durante il calcio-mercato vi sono stati diversi casi in cui giocatori di basso livello venivano sopravalutati nei passaggi di proprietà unicamente per ottenere plusvalenze superiori).
Il rischio vero è che i costi crescano più dei ricavi.
I costi per il “personale tesserato” è pari al 66% dei costi operativi. La gestione delle società sui top-player, su quei pochi atleti che alzano l’asticella delle prestazioni della squadra, è quanto mai difficile e spesso le società soccombono ai voleri dei procuratori. Emblematici sono stati i casi di Icardi e di Dybala, così come la contestazione dello spogliatoio del Napoli al ritiro imposto dalla società. Quando si legge che la valutazione di Mbappé è di 300 milioni vuol dire che il sistema rischia davvero di ‘saltare’.
Le società finiscono per subire la lievitazione dei costi, mentre i ricavi potrebbero contrarsi. Il pubblico televisivo dà infatti segnali di disaffezione alle troppe partite trasmesse dalla tv. Va aggiunto anche che il campionato implica la competizione, è su di essa che si sostanzia la passione per il gioco; se viene a mancare per il dominio di una sola squadra, l’interesse di molti scema. Aggiungiamo anche le polemiche sugli arbitri, polemiche che il Var ha ampliato, il problema delle violenze negli stadi, e si ha un quadro non del tutto rassicurante per il prossimo futuro del nostro calcio.