In primo grado il top manager, ora presidente del Milan, e il gruppo erano stati assolti. L'accusa contesta la corruzione internazionale per l'ipotizzato pagamento di una tangente da 197 milioni di euro
In primo grado era stato assolto. Oggi il sostituto Pg di Milano Massimo Gaballo ha chiesto una condanna in appello a 6 anni e 4 mesi per Paolo Scaroni, ex ad di Eni e ora presidente del Milan, nel processo d’appello con al centro il caso Saipem-Algeria per presunta corruzione internazionale. Chiesta anche la condanna di Eni (anche per la società era stato emesso un verdetto di non colpevolezza) come persona giuridica ad una sanzione pecuniaria di 900mila euro e alla confisca del prezzo del reato, circa 197 milioni di dollari. Per il pg vanno confermate inoltre le condanne del primo grado.
Il pg Massimo Gaballo che sostiene l’accusa assieme al pm Isidoro Palma, oltre a chiedere per Eni la confisca di 197 milioni, in solido con Saipem per la quale la richiesta è stata la conferma della sanzione pecuniaria di 400mila euro, ha proposto la condanna anche per Antonio Vella, il manager della compagnia petrolifera assolto in primo grado, a 5 anni e 4 mesi di carcere. Per il resto il sostituto procuratore generale ha chiesto di confermare le pene inflitte dal Tribunale: per l’ex presidente e ad di Saipem Pietro Tali a 4 anni e 9 mesi, per l’ex direttore operativo di Saipem in Algeria Pietro Varone a 4 anni e 9 mesi, per l’ex direttore finanziario prima di Saipem poi di Eni Alessandro Bernini a 4 anni e un mese. E ancora: per Farid Bedjaoui, considerato uno degli intermediari della presunta tangente, 5 anni e 5 mesi, per Samyr Ouraied 4 anni e un mese e per Omar Habour, ritenuto il presunto riciclatore, 4 anni e un mese. Inoltre è stata chiesta la prescrizione per alcune imputazioni.
Il pg nel corso della sua requisitoria ha affermato che “risulta provato dai flussi finanziari che parte dei soldi versati sia arrivata al ministro dell’energia algerino” Chekib Khelil. Inoltre ha aggiunto che “l’indipendenza di Saipem da Eni è totalmente smentita dai fatti” e ha sottolineato che nelle motivazioni di primo grado c’è “una inversione a U nella parte che riguarda” la società di San Donato e i suoi manager: “scrivono in realtà una sentenza di condanna – ha detto riferendosi alle motivazioni – e poi virano improvvisamente verso l’assoluzione”.