I primi – e finora unici – a dirlo, in questa giornata veramente angosciosa dove una delle città più belle del mondo è allagata, sono il ministro dell’Ambiente Sergio Costa e il coordinatore nazionale dei Verdi Angelo Bonelli: il problema davanti a cui ci troviamo di fronte è il cambiamento climatico. È questo che dobbiamo combattere, è questo che dobbiamo avere ben chiaro come nemico per mettere in atto azioni davvero efficaci.
L’alluvione che ha colpito Venezia è senz’altro straordinaria, ma l’innalzamento del livello del mare è ormai strutturale, un problema che non tornerà indietro ma semmai si andrà aggravando, come ormai decine di report scientifici hanno sottolineato, ultimo uno studio pubblicato sulla rivista Nature Communications. Senza interventi, Venezia è destinata a finire sott’acqua.
E dunque quello che vediamo – ossia una città invasa d’acqua, con persone costrette a sfollare, le chiese allagate con tutti i possibili danni al patrimonio artistico, le barche capovolte – sono immagini che non riguardano la fantascienza, ma, direi in maniera provocatoria, la scienza. Nel senso che sono state previste da quest’ultima, e dunque non sono fiction ma realtà. Una realtà con cui dovremo fare i conti e che, tra l’altro, apre l’immenso tema della tutela del nostro patrimonio artistico esposto e vulnerabile: chi salverà i nostri capolavori da alluvioni, tempeste, fulmini e tifoni, in futuro sempre già violenti? Possiamo forse spostare un Colosseo o una Torre di Pisa? Possiamo evitare che marmi e legni di una basilica non si danneggino se immersi nell’acqua?
E’ dunque importante che i giornali, in questo giorno di cronaca, non si soffermino solo a fare l’elenco dei fatti e dei danni (pure importantissimo, perché ci fa capire quanto non investire in prevenzione sia allucinante visto che dopo la ricostruzione è obbligatoria, a meno di non abbandonare cose e persone al loro destino). E’ importante che i giornali facciano parlare i climatologi, che diano voce a chi sta cominciando a mettere in collegamento il tema del clima con quello del patrimonio artistico, a chi ha capito che mettersi a litigare sulla plastic tax è miope e insensato, visto che le misure che dobbiamo mettere in atto dovrebbero avere una portata enorme se davvero vogliamo fermare fenomeni dall’impatto enorme.
Quello che è successo ieri a Venezia è dunque anche un’occasione, che non andrebbe sprecata: un’occasione per ricominciare a parlare di cambiamento climatico, che dopo quest’estate è di nuovo scomparso dai giornali e anche dalla testa della gente: che purtroppo ancora crede che siccome fa freddo ed è autunno il problema non esista.
Ma quella di Venezia è anche un’occasione formidabile per realizzare che ormai la lotta ai cambiamenti climatici non può essere fatta senza coinvolgere la cittadinanza, come ha detto lo stesso sindaco della città. Non possiamo più permetterci aberrazioni come l’investimento in opere che si rivelano inutili, come il Mose. È giusto che i cittadini comincino ad essere coinvolti nelle scelte che riguardano ormai la loro stessa sopravvivenza e incolumità.
È un loro diritto, così come è un loro dovere – e questo dovremmo cominciare a capirlo sempre di più – iniziare a sorvegliare molto da vicino l’opera di chi li rappresenta. Controllare le decisioni e le pratiche, vigilare perché siano fatte in funzione della protezione collettiva e non del tornaconto individuale. Perché oggi, ripeto, non si rischia più semplicemente un buco di bilancio. Oggi si rischia la nostra esistenza, la nostra permanenza su un territorio. Pensiamo a Venezia, ma pensiamo anche alla gestione delle risorse idriche che in futuro saranno sempre più scarse. O alla tutela dei monumenti che sono anche patrimonio nostro, dei singoli. O alla tutela della nostra agricoltura che ci consente di nutrirci.
Per questo non ci è più concesso restare indifferenti, né credere che possiamo continuare a vivere senza prendere parte attiva alla lotta per il cambiamento climatico e insieme alla vigilanza sempre più stretta su chi ha in mano il filo delle nostre vite. Mai come oggi è necessaria dunque una democrazia deliberativa. Non vi aspettate che le soluzioni a problemi così grandi arrivino dall’alto, figuriamoci: semmai è dal basso che possono arrivare, da una richiesta collettiva pressante e inesorabile di protezione e insieme di partecipazione. Rispetto, di nuovo, a scelte troppo cruciali per essere delegate ad altri in maniera sprovveduta e cieca.