Jeanine Anez, rappresentante del partito di destra Movimiento Democrata Social e vicepresidente del Senato è la sessantaseiesima presidente della Bolivia, dopo l’autoproclamazione avvenuta all’interno del Palacio Quemado, che ospita l’esecutivo. Di professione avvocatessa e con un passato da presentatrice televisiva, l’attuale presidente, 52 anni e originaria di Trinidad, si ritrova ad affrontare una sfida impegnativa in un momento di travaglio politico: guidare un governo di transizione fino alle prossime elezioni.
E’ la seconda volta che la Bolivia viene guidata da un presidente donna: l’unico precedente è datato 1979 e porta il nome di Lidia Guillier. Ma il 12 novembre verrà certamente ricordato come un giorno lungo e non privo di colpi di scena, ormai leitmotiv di un periodo segnato da numerosi capovolgimenti di fronte. Di fatto, la sessione dell’assemblea legislativa si era aperta senza la presenza dei deputati del Movimento al Socialismo (Mas), partito dell’ex presidente Evo Morales, la cui assenza ha provocato lunghi ritardi nell’applicazione della norma costituzionale che l’opposizione ha da subito stigmatizzato come violazione dei diritti del popolo boliviano.
La giornata era cominciata con i peggiori auspici: la tragica morte del Tenente Colonnello della Polizia dell’Unità Tattica per le Operazioni Speciali (Utop), Heybert Yamil Antelo, investito da un veicolo in fuga durante uno scontro a fuoco nella città di El Alto. Località che in questi giorni è balzata agli onori delle cronache per fatti di estrema brutalità: la morte del Colonnello è solo l’apice di una escalation di violenza che da giorni si sta consumando e che ha lasciato numerosi feriti per strada.
Il rigurgito di violenza ha avuto il suo picco nell’ultimo fine settimana, facendo eco all’atto di rinuncia alla presidenza di Morales, culminando nei tragici fatti di domenica notte: i saccheggi nelle zone popolari di La Paz (Calle Eloy Salmon e Mercato di Calatayud) e l’incendio di 64 nuovi bus nel deposito Pumakatari e della residenza dell’attuale rettore dell’Universidad Mayor de San Andrés, Waldo Albarracin. Atti di violenza che l’opposizione ha imputato alle frange violente del popolo di El Alto, presumibilmente simpatizzante del Mas, che rifiuta la nomina della Anez e che ad oggi non intende scendere a compromessi col nuovo governo.
Da tempo l’opposizione accusa l’ex presidente Morales di incitare all’odio contro gli avversari politici, accuse sempre rigettate dal Mas e a tutt’ora prive di fondamento. Ciò che pare aver provocato prima indignazione e, in seguito, una violenta reazione da parte del popolo di El Alto è il gesto provocatorio di alcuni agenti di polizia che in un video, pubblicato in rete e dalle emittenti locali, si strappano le mostrine col simbolo Whipala dalla divisa, emblema dei popoli indigeni, e successivamente danno fuoco alla relativa bandiera.
Intanto, l’ex presidente Morales, che già negli scorsi giorni aveva accusato l’opposizione, nelle persone di Fernando Camacho (leader civico di Santa Cruz) e Carlos Mesa (ex vicepresidente ai tempi del tragico Ottobre nero boliviano nel 2003), di colpo di Stato, ieri in un tweet ha pubblicato la sua intenzione di denunciare presso la comunità internazionale l’autoproclamazione della senatrice Anez che violerebbe la Cpe (Costituzione politica dello stato) della Bolivia e le norme interne dell’Assemblea legislativa.
A smentire però il presidente Morales è oggi il Tcp (tribunale costituzionale) che interviene sancendo la costituzionalità dell’investitura della senatrice beniana secondo l’articolo 170 della costituzione boliviana che stabilisce la “cessazione della presidenza, tra le altre cause, per assenza o impedimento definitivo”.
Ma la confusione che investe lo scenario politico nazionale e che divide i due fronti si riflette anche a livello internazionale nel tavolo dell’Organizzazione degli Stati Americani (Oea), ieri riunitosi in seduta congiunta per dibattere sui destini della nazione boliviana. Sul tavolo del dibattito il presunto golpe e la presunta frode elettorale, su cui ancora non esiste prova certa ma solo la detenzione preventiva dei membri del Tse (Tribunale supremo elettorale) e le accuse mosse dall’opposizione al Mas e da alcuni attori internazionali (su tutti gli Stati Uniti). La riunione di ieri ha certificato la posizione ufficiale di 15 paesi (tra cui Usa, Brasile e Argentina) in merito alla soluzione della crisi in Bolivia: garantire urgentemente nuove elezioni.
Di tutt’altro parere la rappresentante del governo messicano, Luz Elena Baños Rivas, che ha offerto asilo all’ex presidente Morales e sottolinea come “il Messico nutre seria preoccupazione di fronte allo smantellamento dell’ordine costituzionale in Bolivia, dove si è verificato un colpo di Stato che il Messico condanna con forza”. Il segretario generale dell’Oea, Luis Almagro, esprime comunque il totale rifiuto di qualsiasi soluzione incostituzionale alla crisi boliviana richiamando alla pacificazione e al rispetto dello stato di diritto.
In questa situazione di incertezza permane un interrogativo centrale: cosa ha portato alle dimissioni di Evo Morales? Per rispondere a questa domanda dobbiamo tornare ai fatti di sabato che hanno registrato l’ammutinamento della forza di polizia di Cochabamba, decisione in seguito appoggiata dalle forze di altri dipartimenti tra cui Santa Cruz e per ultimo La Paz. La decisione estrema maturata in seno alle forze di polizia va interpretata all’interno di un vortice di protesta e di coinvolgimento popolare innescato dall’irruzione sulla scena politica di un personaggio dalla forte carica emotiva, Luis Fernando Camacho, leader del Comite civico di Santa Cruz. Personaggio dotato di indubbio carisma che coi suoi discorsi ha infiammato la folla crucena nel dopo elezioni. Il suo intervento ha tracciato un solco incolmabile tra i sostenitori del cambiamento, ergo oppositori di Morales, e coloro che richiedevano il rispetto dell’esito delle urne.
La decisione della polizia a cui ha fatto seguito il rifiuto del generale dell’esercito boliviano di schierarsi contro il popolo in protesta, e contro la stessa polizia, hanno fatto il resto. La scelta di Morales è pertanto la conseguenza di una situazione ormai fuori controllo per l’esecutivo del Mas.
Per capire perché l’intervento di un personaggio come Camacho possa avere influito sulle sorti politiche del Paese occorre specificare il ruolo dei “comites civicos” in questo scenario. Questi fanno leva, più che sul potere politico, di cui sono privi, sull’esercizio della pressione e dell’influenza nelle decisioni politiche del paese. Nient’altro sono che assemblee popolari con a capo un lider.
La Bolivia conta nove dipartimenti, ognuno dei quali consta di un comite. Il più influente è quello diretto da Camacho, in virtù del peso economico che la ciudad di Santa Cruz riveste nello Stato boliviano.
Alle pressioni esercitate dai comites si sommano quelle delle categorie sociali e professionali: medici, studenti, minatori, cocaleros e altri. Ogni categoria ha una sua rappresentanza storica politica. Nella fattispecie del caso boliviano, il passaggio dei minatori e dei cocaleros, storici sostenitori del Mas, all’opposizione ha giocato un ruolo determinante nell’instaurazione del governo di transizione.
In ottica futura, il risveglio della capitale politica, La Paz, è stato tutt’altro che incoraggiante e quella che ieri è stata celebrata come vittoria della democrazia e ritorno alla normalità in realtà nasconde numerose incertezze e insidie: in primis, la decisione del popolo dei campesinos e di parte de la Ciudad de El Alto, di non aderire alle manifestazioni di giubilo di parte del popolo boliviano e, al contrario, di riprendere oggi stesso la marcia con destinazione Plaza Murillo. La situazione di normalità appare a tutt’ora ben lungi dall’essere ripristinata.
Mondo
Bolivia, la spinta dei comitati civici e la rivolta della polizia: cosa succede dopo la fuga di Evo Morales e la nomina di Jeanine Anez
Non esiste alcuna prova, ancora, che provi la frode elettorale imputata all'ex presidente e il golpe da parte delle opposizioni. Ma le opposizioni sono già riuscite a insediare il loro nuovo capo di Stato. Con un ruolo centrale ricoperto da quello che il presidente in esilio ha indicato come il nemico pubblico numero uno: Luis Fernando Camacho, leader del potente Comite civico di Santa Cruz
Jeanine Anez, rappresentante del partito di destra Movimiento Democrata Social e vicepresidente del Senato è la sessantaseiesima presidente della Bolivia, dopo l’autoproclamazione avvenuta all’interno del Palacio Quemado, che ospita l’esecutivo. Di professione avvocatessa e con un passato da presentatrice televisiva, l’attuale presidente, 52 anni e originaria di Trinidad, si ritrova ad affrontare una sfida impegnativa in un momento di travaglio politico: guidare un governo di transizione fino alle prossime elezioni.
E’ la seconda volta che la Bolivia viene guidata da un presidente donna: l’unico precedente è datato 1979 e porta il nome di Lidia Guillier. Ma il 12 novembre verrà certamente ricordato come un giorno lungo e non privo di colpi di scena, ormai leitmotiv di un periodo segnato da numerosi capovolgimenti di fronte. Di fatto, la sessione dell’assemblea legislativa si era aperta senza la presenza dei deputati del Movimento al Socialismo (Mas), partito dell’ex presidente Evo Morales, la cui assenza ha provocato lunghi ritardi nell’applicazione della norma costituzionale che l’opposizione ha da subito stigmatizzato come violazione dei diritti del popolo boliviano.
La giornata era cominciata con i peggiori auspici: la tragica morte del Tenente Colonnello della Polizia dell’Unità Tattica per le Operazioni Speciali (Utop), Heybert Yamil Antelo, investito da un veicolo in fuga durante uno scontro a fuoco nella città di El Alto. Località che in questi giorni è balzata agli onori delle cronache per fatti di estrema brutalità: la morte del Colonnello è solo l’apice di una escalation di violenza che da giorni si sta consumando e che ha lasciato numerosi feriti per strada.
Il rigurgito di violenza ha avuto il suo picco nell’ultimo fine settimana, facendo eco all’atto di rinuncia alla presidenza di Morales, culminando nei tragici fatti di domenica notte: i saccheggi nelle zone popolari di La Paz (Calle Eloy Salmon e Mercato di Calatayud) e l’incendio di 64 nuovi bus nel deposito Pumakatari e della residenza dell’attuale rettore dell’Universidad Mayor de San Andrés, Waldo Albarracin. Atti di violenza che l’opposizione ha imputato alle frange violente del popolo di El Alto, presumibilmente simpatizzante del Mas, che rifiuta la nomina della Anez e che ad oggi non intende scendere a compromessi col nuovo governo.
Da tempo l’opposizione accusa l’ex presidente Morales di incitare all’odio contro gli avversari politici, accuse sempre rigettate dal Mas e a tutt’ora prive di fondamento. Ciò che pare aver provocato prima indignazione e, in seguito, una violenta reazione da parte del popolo di El Alto è il gesto provocatorio di alcuni agenti di polizia che in un video, pubblicato in rete e dalle emittenti locali, si strappano le mostrine col simbolo Whipala dalla divisa, emblema dei popoli indigeni, e successivamente danno fuoco alla relativa bandiera.
Intanto, l’ex presidente Morales, che già negli scorsi giorni aveva accusato l’opposizione, nelle persone di Fernando Camacho (leader civico di Santa Cruz) e Carlos Mesa (ex vicepresidente ai tempi del tragico Ottobre nero boliviano nel 2003), di colpo di Stato, ieri in un tweet ha pubblicato la sua intenzione di denunciare presso la comunità internazionale l’autoproclamazione della senatrice Anez che violerebbe la Cpe (Costituzione politica dello stato) della Bolivia e le norme interne dell’Assemblea legislativa.
A smentire però il presidente Morales è oggi il Tcp (tribunale costituzionale) che interviene sancendo la costituzionalità dell’investitura della senatrice beniana secondo l’articolo 170 della costituzione boliviana che stabilisce la “cessazione della presidenza, tra le altre cause, per assenza o impedimento definitivo”.
Ma la confusione che investe lo scenario politico nazionale e che divide i due fronti si riflette anche a livello internazionale nel tavolo dell’Organizzazione degli Stati Americani (Oea), ieri riunitosi in seduta congiunta per dibattere sui destini della nazione boliviana. Sul tavolo del dibattito il presunto golpe e la presunta frode elettorale, su cui ancora non esiste prova certa ma solo la detenzione preventiva dei membri del Tse (Tribunale supremo elettorale) e le accuse mosse dall’opposizione al Mas e da alcuni attori internazionali (su tutti gli Stati Uniti). La riunione di ieri ha certificato la posizione ufficiale di 15 paesi (tra cui Usa, Brasile e Argentina) in merito alla soluzione della crisi in Bolivia: garantire urgentemente nuove elezioni.
Di tutt’altro parere la rappresentante del governo messicano, Luz Elena Baños Rivas, che ha offerto asilo all’ex presidente Morales e sottolinea come “il Messico nutre seria preoccupazione di fronte allo smantellamento dell’ordine costituzionale in Bolivia, dove si è verificato un colpo di Stato che il Messico condanna con forza”. Il segretario generale dell’Oea, Luis Almagro, esprime comunque il totale rifiuto di qualsiasi soluzione incostituzionale alla crisi boliviana richiamando alla pacificazione e al rispetto dello stato di diritto.
In questa situazione di incertezza permane un interrogativo centrale: cosa ha portato alle dimissioni di Evo Morales? Per rispondere a questa domanda dobbiamo tornare ai fatti di sabato che hanno registrato l’ammutinamento della forza di polizia di Cochabamba, decisione in seguito appoggiata dalle forze di altri dipartimenti tra cui Santa Cruz e per ultimo La Paz. La decisione estrema maturata in seno alle forze di polizia va interpretata all’interno di un vortice di protesta e di coinvolgimento popolare innescato dall’irruzione sulla scena politica di un personaggio dalla forte carica emotiva, Luis Fernando Camacho, leader del Comite civico di Santa Cruz. Personaggio dotato di indubbio carisma che coi suoi discorsi ha infiammato la folla crucena nel dopo elezioni. Il suo intervento ha tracciato un solco incolmabile tra i sostenitori del cambiamento, ergo oppositori di Morales, e coloro che richiedevano il rispetto dell’esito delle urne.
La decisione della polizia a cui ha fatto seguito il rifiuto del generale dell’esercito boliviano di schierarsi contro il popolo in protesta, e contro la stessa polizia, hanno fatto il resto. La scelta di Morales è pertanto la conseguenza di una situazione ormai fuori controllo per l’esecutivo del Mas.
Per capire perché l’intervento di un personaggio come Camacho possa avere influito sulle sorti politiche del Paese occorre specificare il ruolo dei “comites civicos” in questo scenario. Questi fanno leva, più che sul potere politico, di cui sono privi, sull’esercizio della pressione e dell’influenza nelle decisioni politiche del paese. Nient’altro sono che assemblee popolari con a capo un lider.
La Bolivia conta nove dipartimenti, ognuno dei quali consta di un comite. Il più influente è quello diretto da Camacho, in virtù del peso economico che la ciudad di Santa Cruz riveste nello Stato boliviano.
Alle pressioni esercitate dai comites si sommano quelle delle categorie sociali e professionali: medici, studenti, minatori, cocaleros e altri. Ogni categoria ha una sua rappresentanza storica politica. Nella fattispecie del caso boliviano, il passaggio dei minatori e dei cocaleros, storici sostenitori del Mas, all’opposizione ha giocato un ruolo determinante nell’instaurazione del governo di transizione.
In ottica futura, il risveglio della capitale politica, La Paz, è stato tutt’altro che incoraggiante e quella che ieri è stata celebrata come vittoria della democrazia e ritorno alla normalità in realtà nasconde numerose incertezze e insidie: in primis, la decisione del popolo dei campesinos e di parte de la Ciudad de El Alto, di non aderire alle manifestazioni di giubilo di parte del popolo boliviano e, al contrario, di riprendere oggi stesso la marcia con destinazione Plaza Murillo. La situazione di normalità appare a tutt’ora ben lungi dall’essere ripristinata.
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Ucraina, nuova offensiva nel Kursk russo. Kiev: ‘Nemici colti di sorpresa’. Mosca: ‘Attacco respinto’
Perugia, 5 gen. (Adnkronos) - Ha sparato con la pistola di servizio (Glock 17 cal. 9) regolarmente detenuta un colpo alla moglie 29enne, romena, per poi spararsi alla tempia. Sono i dettagli emersi dalla ricostruzione dell'omicidio-suicidio avvenuto questa mattina a Gualdo Tadino, nella frazione Gaifana, in una abitazione in via degli Ulivi.
L'uomo, una guardia giurata di 38 anni, è stato trovato senza vita accanto alla vittima. I rilievi ancora in corso, a cura della Sezione rilievi del Nucleo Investigativo di Perugia e Compagnia Carabinieri di Gubbio, confermano la dinamica. Secondo gli investigatori, il movente sarebbe legato a dissidi coniugali. Sul posto il medico legale e il sostituto procuratore di turno.
Roma, 5 gen. (Adnkronos) - Una pronuncia del Consiglio regionale della Sardegna sulla decadenza della presidente della Regione Alessandra Todde per presunte irregolarità sul rendiconto delle spese elettorali non è ipotizzabile nell'immediato. "Secondo la Corte costituzionale (sent. 387/1996) la questione della pronuncia del Consiglio regionale sulla decadenza si porrà solo nel momento in cui il provvedimento diventerà 'definitivo'". A indicare la significativa sentenza della Consulta è il professore ordinario di Diritto pubblico all'università di Roma Tor Vergata, Giovanni Guzzetta che, analizzando all'Adnkronos una vicenda ingarbugliata sia sul fronte politico che giudiziario, rileva anche che"il giudizio del Consiglio regionale è sempre sindacabile in sede giurisdizionale".
Pertanto, "immaginando che la Presidente della Regione Sardegna impugni effettivamente l’atto, sul piano giudiziario i tempi non saranno brevi: la lunghezza dei tempi si trasforma in una prolungata spada di Damocle 'politica' sulla Presidente e sulla sua legittimazione. E qui, subentrano tutte le valutazioni di opportunità che non spetta a me fare".
Secondo il costituzionalista, "la vicenda è molto complessa perché ha evidentemente implicazioni politiche e giuridiche ma le letture appaiono molto semplificate e assertive". "Sul piano politico - analizza - ci troviamo di fronte ad una ordinanza-ingiunzione che contesta gravi violazioni della disciplina in materia di spese elettorali e relativa rendicontazione. In base alla legislazione vigente applicabile anche alla regione Sardegna, a seguito dell’accertamento di tali violazioni consegue anche la sanzione accessoria della decadenza, in quanto si concretizza una causa di ineleggibilità del consigliere regionale che si riflette sulla carica di presidente della Regione, perché, in base alla disciplina vigente ribadita dalla stessa legislazione sarda, il Presidente non può non essere anche membro del consiglio regionale. Sul piano politico la rilevanza della questione, e quindi le conseguenze in termini di opportunità, sono rimesse alle valutazioni degli interessati e al dibattito politico".
"Sul piano giuridico quello che succede è che il provvedimento, che è immediatamente esecutivo, è comunque un provvedimento amministrativo, sebbene adottato da un organo particolarmente autorevole in quanto istituito presso la Corte d’Appello e presieduto dal Presidente della Corte d’Appello. A tale provvedimento si può fare opposizione davanti al giudice ordinario, cui spetta anche decidere se sospenderne o meno l’esecutività. Secondo la Corte costituzionale (sent. 387/1996) la questione della pronuncia del Consiglio regionale sulla decadenza si porrà nel momento in cui il provvedimento diventerà “definitivo” (cioè una volta esauriti i gradi di giudizio di impugnazione dell’ordinanza o qualora tale impugnazione non ci sia, nei termini di 30 giorni dall’adozione del provvedimento). Da questa sentenza della Corte costituzionale sembrerebbe dunque che fino a quel momento il Consiglio non possa pronunciarsi, anche se il provvedimento del Collegio regionale di Garanzia rimanesse esecutivo".
Guzzetta osserva che "in questa prospettiva, immaginando che la Presidente della Regione Sardegna impugni effettivamente l’atto bisognerà attendere i vari gradi di giudizio e potrebbero passare mesi. Nel momento in cui il provvedimento, confermato dai giudici, divenisse effettivamente definitivo spetterebbe al Consiglio regionale dichiarare la decadenza. Sui poteri del Consiglio in questa materia c’è molta confusione, perché si tende a pensare in modo analogo a quello che vale per le Camere. Ma c’è una fondamentale differenza. Le Camere sono organi costituzionali e la Costituzione riserva a esse in via esclusiva la valutazione della decadenza. Lo stesso principio non vale per i Consigli regionali, le cui deliberazioni sono impugnabili davanti al giudice ordinario secondo i principi generali che valgono in questa materia, peraltro ribaditi dalla stessa legge statutaria della regione Sardegna 2007 articolo 26 comma 9. Questo vuol dire che i margini di valutazione dei Consiglio regionale sono comunque più ristretti, perché le loro scelte sono sindacabili quanto al rispetto delle norme sulla decadenza".
"Il controllo del Consiglio regionale, dunque, è vincolato dal quadro normativo e non può ritenersi politicamente libero. Il che non vuol dire che il suo voto sia una formalità (possono essere rilevati vizi procedurali ad esempio), ma certo la valutazione non è meramente politica. Né la legge ordinaria potrebbe riconoscere ai consigli regionali quella garanzia di insindacabilità degli atti che è assicurata dalla Costituzione alle Camere - sottolinea il professore di Tor Vergata - Questo peraltro vale per tutti i casi in cui i Consigli regionali accertino cause di decadenza. Le dichiarazioni di decadenza sono impugnabili davanti al giudice ordinario. Al limite possono ipotizzarsi anche dei conflitti di attribuzione davanti alla Corte costituzionale tra Regione e autorità giudiziaria".
"Sul piano giudiziario, dunque, i tempi non saranno brevi.Sul piano politico, ovviamente, la lunghezza dei tempi si trasforma in una prolungata spada di Damocle 'politica' sulla Presidente e sulla sua legittimazione. E qui, subentrano tutte le valutazioni di opportunità che non spetta a me fare", conclude il costituzionalista. (di Roberta Lanzara)
Roma, 5 gen. (Adnkronos) - Papa Francesco ha ricevuto una targa con riflessioni su Gesù da parte della Guida suprema iraniana, l'Ayatollah Ali Khamenei. Secondo quanto rende noto l'agenzia di stampa Irna, la targa è stata consegnata al Pontefice dall'ambasciatore iraniano presso la Santa Sede, Mohammad Hossein Mokhtari, ricevuto nei giorni scorsi.
''Se Gesù fosse tra noi oggi - scrive Khamenei - non esiterebbe un attimo a combattere i leader dell'oppressione e dell'arroganza globale. Non tollererebbe la fame e lo sfollamento di miliardi di persone spinte dalle potenze egemoniche verso la guerra, la corruzione e la violenza".
Partendo dal fatto che ''l'importanza di Gesù per i musulmani non è senza dubbio inferiore alla sua importanza e stima agli occhi dei devoti cristiani'', il testo sottolinea che ''questo grande profeta divino ha trascorso tutto il suo tempo tra il popolo in lotta per opporsi all'oppressione, all'aggressione e alla corruzione'' e ''a coloro che usavano la loro ricchezza e il loro potere per schiavizzare le nazioni e trascinarle nell'inferno di questo mondo e dell'aldilà''.
Nelle riflessioni di Khamenei è contenuto un invito: ''Cristiani e musulmani che credono in questo grande profeta devono rivolgersi ai suoi insegnamenti per stabilire un giusto ordine mondiale. Devono promuovere le virtù umane come sono state insegnate da questi maestri dell'umanità''. Quindi, prosegue il testo, ''per essere un seguace di Gesù Cristo bisogna sostenere la verità e rifiutare i poteri che vi si oppongono. Si spera che i cristiani e i musulmani in ogni angolo del mondo manterranno viva questa profonda lezione del profeta Gesù nelle loro vite e azioni'', auspica il leader iraniano.
Perugia, 5 gen. (Adnkronos) - Marito e moglie sono stati trovati morti nell'abitazione nella quale vivevano a Gualdo Tadino, in provincia di Perugia. Sul posto sono intervenuti i carabinieri che indagano sull'ipotesi di omicidio-suicidio. Da una prima ricostruzione si tratta di una coppia giovane, i due avevano una trentina di anni. L'uomo, dai primissimi accertamenti, avrebbe ucciso la donna per poi togliersi la vita.
Milano, 5 gen. (Adnkronos) - Sono in corso le indagini dei carabinieri per fare luce sulla morte di un 28enne marocchino trovato morto ieri sera a Cisliano in provincia di Milano. E' stato un passante ieri a chiamare il 112 dopo aver notato un uomo riverso sul ciglio della strada in via Regina Elena, quasi all'incrocio con una strada provinciale. Sul posto sono intervenuti, insieme al 118, i carabinieri di Bareggio e Magenta che non hanno potuto fare altro che constatare il decesso. A quanto si apprende si indaga per omicidio perché, da una prima ispezione del medico legale, è emersa sul cadavere una lesione all'addome inferiore compatibile con un'azione violenta. Tuttavia sarà l'autopsia a fare definitivamente chiarezza.
Roma, 5 gen. (Adnkronos) - Visita lampo di Giorgia Meloni a Mar-a-Lago, dove la premier ha incontrato il presidente eletto degli Usa Donald Trump. Dopo circa 5 ore dal suo arrivo a Palm Beach, la premier è risalita sul volo che la sta riconducendo a Roma.
(Adnkronos) - Il Napoli vince 3-0 in casa della Fiorentina oggi 4 gennaio 2025 nel match valido per la 19esima giornata della Serie A. La formazione di Conte passa al Franchi con i gol di Neres (29'), Lukaku (54' su rigore) e McTominay (68'). Il successo consente al Napoli di salire a 44 punti e di conquistare il primo posto solitario in classifica con 3 punti di vantaggio sull'Atalanta e 4 sull'Inter. Bergamaschi e milanesi hanno una partita in meno.
Il Napoli parte bene e al 15' Olivera va in gol dopo lo scambio con Lukaku, ma l'azione del Napoli è viziata da due posizioni di fuorigioco dei due protagonisti dell'azione. Al 18' altro squillo del Napoli con Spinazzola che impegna De Gea. La Fiorentina non riesce ad essere pericolosa e la squadra di Conte al 26' ci prova con Neres che converge e ci prova con il mancino.
Al 29' Napoli in vantaggio: combinazione tra Neres e Lukaku, con il brasiliano che in area danza sul pallone, salta gli avversari e di destro da posizione laterale infila De Gea sotto la traversa per l'1-0. Immediata la reazione viola che al 35' manda Kean in gol, ma l'attaccante prima del tiro in porta tocca il pallone con una mano e la rete viene annullata dopo il consulto con il Var. Al 39' ancora Fiorentina pericolosa con la conclusione verso la porta di Mandragora, parata in tuffo da Meret.
Ad inizio ripresa ancora Napoli protagonista. Al 53' Neres serve McTominay ma lo scozzese in area non inquadra la porta. Il raddoppio arriva un minuto dopo. Al 54' intervento in ritardo di Moreno su Anguissa e calcio di rigore trasformato da Lukaku, per il 2-0. Palladino cambia faccia alla squadra inserendo Gosens e Colpani e al 61' arriva una clamorosa doppia occasione: prima Meret respinge il tiro da centro area di Mandragora, poi si salva anche sul tentativo di Beltran. Poi sul cross di Dodò, svetta ancora Beltran ma il pallone esce di poco a lato.
I viola riversati in avanti lasciano ampi spazi alle ripartenze del Napoli che al 63' sfiora il tris sull'asse Lukaku-Neres, ma questa volta il brasiliano conclude sull'esterno della rete. Al 68' il Napoli trova il terzo gol: ennesimo errore viola a centrocampo con Anguissa che ruba palla e si invola, sul suo cross in area Comuzzo non riesce a liberare, e McTominay arriva da dietro e mette il pallone alle spalle di De Gea per il 3-0. La Viola non si arrende nonostante il pesante passivo e al 70' arriva il tiro a giro di Sottil dal limite dell'area che esce fuori di poco. Con il passare dei minuti la pressione della Fiorentina si affievolisce con il Napoli che controlla il possesso del pallone senza correre altri rischi.