“Ho visto Giuseppe sul divano, non riusciva a parlare, aveva gli occhi un po’ aperti e un po’ chiusi. Gli ho detto ‘respira’”. È il drammatico racconto fatto da Noemi, la sorellina di otto anni del piccolo Giuseppe, il bambino di 6 anni ucciso a pugni, calci e colpi con una mazza dal patrigno Toni Barde il 27 gennaio scorso a Cardito, in provincia di Napoli. Le parole della bimba, che quel giorno si è salvata per miracolo dalle botte del compagno della madre, sono state raccolte dieci mesi fa per conto dei magistrati della Procura di Napoli Nord dalla neuropsichiatra infantile Carmelinda Falco, che le ha pronunciate in aula martedì, durante il processo.
La dottoressa Falco, rispondendo alle domande del pm Izzo, durante il processo in corso a Napoli, ha descritto lo stato psicologico della bimba, ascoltata anche in incontri protetti, nell’ospedale Santobono dove era ricoverata dopo le percosse ricevute il giorno dell’omicidio del fratellino: “Per difendersi aveva creato una strategia – ha spiegato la dottoressa Falco – fingeva di svenire. Una strategia che aveva suggerito anche a Giuseppe e a noi, che la stavamo aiutando, in quanto ci riteneva in pericolo”. La piccola ha ricostruito alla neuropsichiatra quanto accaduto quel pomeriggio del 27 gennaio, quando Toni Barde si accanì contro lei e il fratellino perché, giocando, gli impedivano di dormire in pace. Il tutto davanti agli occhi della madre, Valentina Casa, anche lei imputata, che non ha fatto niente per difendere i suoi figli: la bimba, ha detto la dottoressa in aula, ha raccontato che la madre ha avuto una reazione solo verbale, provando a dire al compagno “basta, li stai uccidendo“.
Non solo, sollecitata dal medico a riferire i comportamenti della madre rispetto alle percosse inflitte ai figli dal compagno, Noemi ha spiegato che fino a quel momento Valentina Casa aveva riportato solo atteggiamenti disinteressati, mai, ha spiegato la dottoressa Falco, “di una difesa fisica dei bambini“. Rispondendo alle domande della neuropsichiatra in un ambiente protetto dell’ospedale, audizione peraltro videoregistrata, la bambina ha raccontato anche che quello non è stato l’unico episodio: “Papà Toni mi ha messo sotto il rubinetto tenendomi la bocca aperta, mi voleva affogare“, ha raccontato ancora la bimba.
Nei mesi prima dell’omicidio del piccolo Giuseppe, la sorellina aveva chiesto aiuto alle maestre ma il suo appello è rimasto inascoltato. A confermarlo, davanti alla Terza Corte di Assise di Napoli, è stata la dottoressa Falco che, sollecitata dall’avvocato di parte civile Clara Niola, che rappresenta Cam Telefono Azzurro e l’associazione Akira, ha riferito che la bambina aveva detto a due maestre – di cui fa anche i nomi – le violenze che subiva in casa. Falco ha ricordato le frasi che la bimba le ha riferito in occasione di un incontro protetto: “Cosa dicevi a loro (le due maestre, ndr)?”, e la bimba, secondo quanto riferisce il medico, ha risposto: “Dicevo chiama i carabinieri e non li hanno chiamati”.
Per questo le due maestre e la dirigente dell’istituto scolastico da lei frequentato sono state citate in giudizio. Nei loro confronti il sostituto procuratore di Napoli Nord, Paola Izzo, ha ipotizzato il reato di omissione di denuncia. Non ancora fissata la data dell’udienza che si terrà davanti al giudice monocratico del Tribunale di Napoli Nord.