di Clelio Mascolo

Un successo annunciato (e fin troppo scontato)

“Un nano, un elfo e un umano entrano in una locanda e ordinano da bere…”. Potrebbe sembrare l’inizio di una barzelletta ed è invece una scena ricorrente nelle campagne di Dungeons & Dragons (D&D per gli appassionati), il gioco di ruolo nato 45 anni fa dalle intuizioni di Gary Gygax e Dave Arneson. Un fenomeno che, di lì a poco, avrebbe cambiato per sempre il modo di giocare di milioni di appassionati in tutto il mondo, fissando molte delle convenzioni che sarebbero divenute standard per l’intero settore: l’uso dei dadi per determinare l’evolversi della storia; la compilazione di schede personaggio; la centralità dei combattimenti in campagna e lo sviluppo della storia deciso dal master.

Il successo di D&D ha portato all’immissione sul mercato di 10 diverse edizioni di un gioco che ha influenzato come pochi altri la cultura pop dell’ultimo mezzo secolo: citazioni dirette e indirette di Dungeons & Dragons si trovano in film, serie televisive, brani musicali, fumetti e, ovviamente, romanzi e racconti (giocano a D&D, in una delle primissime scene di E.T. l’extra-terrestre, Elliott, suo fratello e i loro amici; un episodio di Community ruota intorno al gruppo dei protagonisti che giocano ad Advanced Dungeons & Dragons per riconfortare un loro compagno particolarmente depresso). Un successo che non accenna a diminuire. In questi ultimi anni abbiamo anzi assistito all’ennesimo colpo di reni con Stranger Things e Big Bang Theory, o con serie animate come Adventure Time o Rick e Morty.

È sbagliato pensare che il fenomeno sia circoscritto all’universo nerd, perché molti personaggi famosi hanno prontamente aderito, calandosi nei panni del proprio personaggio, all’una o all’altra campagna. Tra questi c’è senz’altro Joe Manganiello, che si è sempre definito un grandissimo appassionato di D&D e, più o meno un anno fa, ha lanciato una linea di vestiti ispirati al nostro gioco. Tom Morello, il famosissimo chitarrista dei Rage Against The Machine e degli Audioslave, è stato ritratto in diverse foto in cui si è mostrato impegnato a giocare a Dungeons & Dragons. Così come Paul Donald Wight II, wrestler di fama internazionale: conosciuto da tutti con lo pseudonimo di Big Show, ha presenziato a vari eventi connessi al gioco, spesso interpretando personaggi massicci e muscolosi.

Giocare in libertà

D&D è nato perché i suoi due creatori “erano stanchi di limitarsi a leggere storie che parlavano di mostri, magie e avventure. Volevano giocare in quei mondi anziché limitarsi a osservare” (così si legge nella prefazione al Manuale del giocatore dell’ultima edizione del gioco). Una voglia di giocare cui andrebbe aggiunto anche il fatto che i war games fioriti negli anni Settanta erano statici, con personaggi ai quali, da una partita all’altra, non era consentito di evolversi.

Il level up, spinto anche dai videogame, ci sembra attualmente rientrare nella normalità. Ma negli anni Settanta era una vera e propria conquista, soprattutto per un gioco pensato per divertirsi con carta e matita e l’ausilio di miniature (come fatto risaltare nel titolo della prima edizione di D&D: Dungeons & Dragons: Rules for Fantastic Medieval Wargames Campaignes Playable with Paper and Pencil and Miniature and Figures).

La voglia di “giocare in quei mondi” appare come qualcosa di rivoluzionario ancora oggi, perché soddisfatta da possibilità che vanno ben oltre quelle offerte anche dai più evoluti fra i videogame in commercio. D&D si vive, è il caso di dirlo, godendo di una libertà quasi assoluta: si scopre (o riscopre) il piacere dell’improvvisazione, delle regole “senza regole” e della piena realizzazione di sé, della propria inventiva e della propria creatività. L’unica “legge” operante è quella imposta dal master, che crea, modella, anima il mondo in cui abitano e si muovono i vari personaggi. Una legge non scritta e sconosciuta ai giocatori, che ne vengono a conoscenza solo man mano che una partita – inesorabilmente – avanza.

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