La Procura di Catania ha chiesto il rinvio a giudizio per istigazione al suicidio di Emilio Coveri, il presidente dell’associazione Exit-Italia – che da anni propugna “il diritto delle persone a una morte dignitosa” e il diritto a “scegliere per sé”- nell’ambito dell’inchiesta sulla morte di Alessandra Giordano, un’insegnante di Paternò, in provincia di Catania, deceduta il 27 marzo scorso nella clinica svizzera Dignitas che pratica il suicidio assistito. La donna, 47 anni, non era malata terminale ma da tempo soffriva di una grave forma di depressione e di una nevralgia cronica, la sindrome di Eagle, e per questo aveva smesso di lavorare.
Nella richiesta di rinvio a giudizio il procuratore aggiunto Ignazio Fonzo e il sostituto Angelo Brugaletta, che hanno coordinato le indagini di carabinieri e polizia postale, scrivono che Coveri “determinava o comunque rafforzava il proposito suicida” della donna, poi “effettivamente avvenuto” con l’eutanasia in una clinica di Zurigo. Lo avrebbe fatto, è la tesi della Procura di Catania, attraverso “plurimi rapporti e conversazioni telefoniche, via sms e mail” negli ultimi due anni. Avrebbe anche “indotto la donna” che “soffriva di depressione e sindrome di Eagle ad iscriversi all’associazione Exit” e avrebbe tenuto condotte accompagnate da sollecitazioni e argomentazioni in ordine alla legittimità anche etica della scelta” del suicidio assistito. La Procura ha identificato cinque parti offese nell’inchiesta: la madre, una sorella e tre fratelli della 47enne.
A dare il via alle indagini è stata proprio la denuncia dei familiari della donna, secondo cui l’insegnante 47enne è morta 13 mesi dopo aver preso la tessa di Exit, il 5 febbraio del 2018. I parenti, che dicono di esserle stati sempre vicini, hanno saputo che Alessandra era partita per Svizzera il 25 marzo di quest’anno da un conoscente che aveva incontrato la donna in aeroporto. Dalle indagini di carabinieri e polizia postale risulta che lei e Coveri erano in contatto dal 2017. Telefonate, e-mail, sms dove gli inquirenti rilevano, tra l’altro, “sollecitazioni e argomentazioni in ordine alla legittimità, anche etica, della scelta suicidiaria”. La Procura ha ricordato anche che le leggi elvetiche richiedono che l’eutanasia “sia praticata solo nei casi di “patologie incurabili, handicap intollerabili, dolori insopportabili”.
Emilio Coveri, 68 anni, originario di Torino, rischia una condanna da 5 a 12 anni di carcere: “Ho consigliato ad Alessandra di fare testamento biologico, di associarsi a Exit per poi ottenere tutte le informazioni e le indicazioni pratiche per andare in Svizzera e ricorrere al suicidio assistito”, aveva spiegato in un’intervista del 6 luglio scorso precisando che “me lo aspettavo e ora mi onoro di essere indagato come Cappato. Anche se io, a differenza sua, non ho fatto nulla di eroico”. Il riferimento è a Marco Cappato, l’attivista radicale che nel 2017 portò Dj Fabo a morire in Svizzera, sempre alla Dignitas.