Inaugurata una nuova procedura del Sistema Italia, destinata proprio a chi dovrebbe occuparsi di innovazione digitale, con la “I” maiuscola, quella di Innovation Manager, le nuove figure “riconosciute” dal Mise per permettere alle imprese italiane di ottenere dei voucher finalizzati allo sviluppo di progetti innovativi. Ed ecco subito venire a galla i risvolti tragicomici di un iter – ça va sans dire – altamente burocratizzato. Com’è noto, il Mise ha provveduto, previa procedura di iscrizione dei professionisti, a predisporre un elenco pubblico dei manager dell’innovazione, utile ai fini dell’avvio delle istanze da parte delle imprese.

Sì, innovare…

In pratica, questo elenco è nato per favorire l’incontro tra domanda e offerta ai fini dell’ottenimento dei voucher per l’innovazione e per tale motivo il Mise ha sviluppato una vera e propria piattaforma informatica rendendo disponibile un servizio pubblico in un contesto privatistico tra professionisti e aziende interessate a finanziare propri progetti innovativi.

Domanda numero 1: ben inteso che in questo Paese i finanziamenti a favore dell’innovazione digitale sono sempre da salutare con favore, qualcuno ci potrebbe spiegare perché si sia reso necessario, al fine di concedere a imprese finanziamenti a progetti di innovazione digitale, investire tempo e risorse nella predisposizione di un elenco pubblico di manager che si auto-qualificano tali (senza alcuna verifica preliminare o selezione da parte del Mise)?

Per semplificare la scelta del proprio manager qualificato da parte delle imprese che richiedono i voucher, probabilmente. Mi sia consentito, però, di obiettare che in ogni caso l’impresa avrebbe potuto scegliere tranquillamente un manager qualificato in grado di assisterla per portar avanti i progetti di innovazione digitale, senza doverlo ricercare in un elenco pubblico predisposto solo per questa occasione. E risulta forse ancora più surreale, inoltre, che l’ingaggio di uno di tali manager auto-qualificati sia imposto alle aziende come condizione necessaria per l’ottenimento di questi voucher, con buona pace della tutela della libera concorrenza nel settore dei professionisti che si occupano di innovazione!

Esistono già infatti metodi di qualificazione oggettivi delle professionalità, accertabili, come le iscrizioni in albi o elenchi ufficiali, oppure metodi “alternativi” di qualificazione delle competenze secondo la Legge 4/2013 sulle professioni non ordinistiche (peraltro portati avanti con attenzione dallo stesso Mise). E qui scatta la domanda numero 2: a che serve un (burocratico) elenco se non seleziona nulla e non è in grado di qualificare in modo serio i soggetti che sono inseriti nello stesso?

… evitando le buche più dure!

Pur con tutte le obiezioni del caso (non sarebbe stato forse più appropriato sviluppare un iter rigoroso per ottenere finanziamenti su progetti innovativi, valutabili con parametri oggettivi?) l’elenco ormai è fatto e se, come disse qualcuno, “L’Italia è fatta, ora facciamo gli italiani!”, non ci resta che elencare questi manager, magari prestando una certa attenzione ai criteri di pubblicazione adottati. E il Mise – va riferito – ha provveduto con chiarezza e in modo trasparente a precisare le finalità e le modalità di trattamento proprie della sua piattaforma, sebbene, per certi aspetti, l’informativa risulti eccessivamente generica nella sua impostazione (mancano, ad esempio, i dati riferiti al Dpo, obbligatori ex art. 13 del Gdpr).

Se, spesso, la questione sul corretto trattamento dei dati personali tende a passare in secondo piano, questa volta, complice anche il riferimento ai manager dell’innovazione, le ragioni legate alla “privacy” sono state al centro del dibattito e il Mise è stato a un passo dall’essere “condannato al rogo per la pubblicazione “in chiaro” dei dati personali di oltre 9mila professionisti.

Vero, in una prima fase sono state compiute diverse “leggerezze” da parte del Ministero, presumibilmente dovute a una certa fretta nell’applicazione del principio di minimizzazione dei dati personali (sono comparsi in chiaro dati probabilmente non indispensabili rispetto alle finalità di pubblicazione dell’elenco, come ad esempio i numeri di cellulare). Tuttavia, credo sia corretto sottolinearlo, è innegabile che sia stata assicurata la trasparenza informativa in favore degli interessati, i quali consapevoli della finalità di pubblicazione di tali dati ben avrebbero potuto gestire con attenzione le informazioni da inserire nel Cv. Non poteva di certo spettare al Mise stabilire lo stralcio o l’oscuramento di dati dal Cv perché superfluo o non necessario.

In proposito è opportuno chiarire che, rispetto al proprio Cv, è il professionista (a maggior ragione un manager dell’innovazione digitale che ben dovrebbe conoscere finalità e modalità delle procedure on line) ad assumersi le dirette responsabilità del contenuto presente nello stesso o delle informazioni fornite al Mise durante le procedura di avvio della domanda di iscrizione all’elenco.

Senza per questo cadere nelle tue paure!

Terza e ultima domanda: ma davvero ci stiamo indignando per qualche dettaglio mancante sull’informativa resa dal Ministero quando sistematicamente e spensieratamente cediamo sui social fette intere della nostra esistenza digitale a player privati che poi li distribuiscono a partner commerciali e politici, orientando sistematicamente i nostri comportamenti?

Forse abbiamo argomenti ben più importanti di cui occuparci.

Community - Condividi gli articoli ed ottieni crediti
Articolo Precedente

Ilva, le aziende dell’indotto pronte a fermarsi: “Mittal ha fatture scadute per milioni di euro”. E una ditta non paga stipendi a 50 operai

next
Articolo Successivo

Lavoro, Inps: “Stipendi medi degli uomini più alti del 44% rispetto a donne. Su 13 milioni di dipendenti privati solo 2,8 milioni nel Sud”

next