Messa in mora collettiva attraverso Confindustria Taranto: la scadenza è venerdì. Il presidente degli industriali: "Non garantiremo più alcuna prestazione". Senza il supporto dell'indotto, il siderurgico rischia la paralisi. Intanto la Gamit ha comunicato che, a causa dei mancati pagamenti, non potrà erogare gli stipendi di ottobre. Romano (Fiom): "Il rischio contagio è dietro l'angolo"
Ci sono fatture per milioni di euro non pagate da ArcelorMittal ai fornitori. Almeno 5 milioni secondo Confindustria Taranto, le cui associate martedì hanno messo in mora la multinazionale dell’acciaio e giovedì terranno un presidio davanti al ministero dello Sviluppo a Roma. Agli affittuari dell’ex Ilva restano meno di 48 ore per saldare il debito, poi dal week end c’è il rischio che le aziende dell’indotto si fermino, complicando ancora di più la situazione in un impianto vicino alla paralisi. Di certo le ditte, già in apnea nel 2015 per un “buco” da 150 milioni dell’amministrazione straordinaria, ora annaspano. E le “rassicurazioni” sul “rispetto degli impegni” date dall’amministratore delegato Lucia Morselli al governatore della Puglia, Michele Emiliano, restano al momento intenzioni.
Così la crisi di liquidità si espande a macchia d’olio. Di mezzo non ci sono solo la Enetec, Fc e Iris che negli scorsi giorni hanno annunciato la cassa integrazione ordinaria per 246 dipendenti in totale. Mercoledì è toccato alla Gamit, impegnata in manutenzioni meccaniche per il siderurgico, comunicare ai sindacati l’impossibilità ad erogare gli stipendi di ottobre a 50 lavoratori perché “non si è vista saldare le fatture dalla multinazionale”, denunciano Fiom, Uilm e Fim-Cisl.
Martedì sera il presidente degli industriali tarantini Antonio Marinaro, parlando di situazione “insostenibile”, ha spiegato che le aziende hanno messo in mora ArcelorMittal con un “testo unico e predefinito”, inviato tramite pec dalla stessa Confindustria. “Parliamo di fatture già scadute per un importo complessivo di diversi milioni di euro. Se la risposta non ci sarà, sarà inevitabile che le aziende che hanno cantieri in ArcelorMittal, si fermino”. Al siderurgico, è stato il messaggio di Marinaro, “non garantiremo più alcuna prestazione” e contestualmente “partirà anche la cassa integrazione nelle nostre imprese con sospensione del personale dal lavoro”.
Per comprendere la portata del problema, se alle fatture già scadute si aggiungono quelle in scadenza – stando a fonti sindacali contattate da Ilfattoquotidiano.it – l’ammontare dei crediti vantati nei confronti di ArcelorMittal si aggira attorno ai 50 milioni di euro. “Il rischio contagio con una pesante ricaduta occupazionale, insomma, è dietro l’angolo”, avverte il segretario generale pugliese della Fiom Giuseppe Romano. E non sarebbe indolore. L’indotto dell’ex Ilva dà lavoro a circa 5mila persone impegnate in quasi 200 aziende. Senza contare che se le ditte dovessero decidere di fermarsi, il siderurgico rischia la paralisi: attorno agli altiforni agonizzanti lavorano imprese metalmeccaniche e dei più svariati servizi, dalle mense alle pulizie fino ai trasporti.
“Nel Cantiere Taranto che si sta costruendo a Roma forse, addirittura, con eccessiva enfasi – dice il segretario generale della Uil Puglia, Franco Busto – sarebbe il caso che una delle fondamenta fosse costituita da interventi incisivi per il salvataggio dell’indotto dell’ex Ilva, che pur senza tutti i riflettori mediatici dello stabilimento siderurgico, ne condivide l’amaro destino e sta soffrendo in silenzio per resistere a una situazione drammatica, in cui diventa un’impresa anche garantire gli emolumenti mensili ai lavoratori”.