Il reato è prescritto. Lo si sapeva da tempo, da quando, a un soffio dal riconoscimento del troppo tempo trascorso, la Cassazione aveva annullato la sentenza di assoluzioni dei cinque medici dell’ospedale romano Pertini accusati dell’omicidio colposo di Stefano Cucchi. I giudici hanno emesso quattro sentenze di non luogo a procedere per intervenuta prescrizione e una di assoluzione. Imputati erano il primario del Reparto di medicina protetta Aldo Fierro, e altri quattro medici, Stefania Corbi (assolta per non aver commesso il fatto), Flaminia Bruno, Luigi De Marchis Preite e Silvia Di Carlo. Nei loro confronti il pg Mario Remus aveva chiesto di non doversi procedere per prescrizione del reato di omicidio colposo. Durante la requisitoria il sostituto procuratore generale aveva detto che per salvare Cucchi sarebbe bastata “un po’ di umanità”. Un epilogo che è’ “una sconfitta per la giustizia” disse il magistrato.
“Una sentenza che lascia l’amaro in bocca. Non è comprensibile dal punto di vista logico perché l’assoluzione della dottoressa Corbi avrebbe dovuto comportare come conseguenza anche l’assoluzione del primario – afferma l’avvocato Gaetano Scalise, difensore del primario dell’ospedale Sandro Pertini, Aldo Fierro – Aspettiamo di leggere le motivazioni e quasi sicuramente faremo ricorso in Cassazione”.
Tutti furono portati a processo inizialmente per l’accusa di abbandono d’incapace (nello stesso processo c’erano imputati anche tre infermieri e tre agenti della Polizia penitenziaria, assolti in via definitiva): condannati nel giugno 2013 per il reato di omicidio colposo, gli stessi medici furono successivamente assolti in appello. E da lì, iniziò una nuova vita processuale fatta di passaggi importanti: intervenne la Cassazione rimandando indietro il processo, i nuovi giudici confermarono quell’assoluzione, la Cassazione rinviò per questo nuova attività dibattimentale. Remus aveva anche ricordato che il processo “evidentemente è iniziato male, con imputazioni traballanti e con una perizia in primo grado che è arrivata a valutare i fatti in maniera evidentemente erronea”. E i
complimenti ai periti nominati in appello, i quali “hanno finalmente fatto luce in maniera motivata e logica”. Per arrivare a sostenere che Stefano Cucchi avrebbe potuto essere salvato, il rappresentante dell’accusa non ha mancato di sottolineare come il geometra romano “era un paziente difficile sotto l’aspetto psicologico; un paziente difficile che non è stato trattato per come doveva essere trattato. Un tocco di umanità, questo sarebbe bastato per farlo bere un po’ di più, per farlo mangiare un po’ di più, per salvarlo. Credo che questo
paziente non sia stato ascoltato dal punto di vista sanitario e dal punto di vista psicologico”.
La storia dei processi: in principio 12 persone indagate – Inizialmente la storia processuale vide l’iniziale iscrizione nel registro degli indagati di 12 persone: sei medici, tre infermieri e tre agenti della penitenziaria. Le accuse andavano a vario titolo dall’abbandono d’incapace all’abuso d’ufficio, dal favoreggiamento al falso, fino alle lesioni e all’abuso di autorità. La tesi accusatoria fu che Cucchi era stato “pestato”nelle celle del tribunale, in ospedale erano state ignorate le sue richieste e addirittura era stato abbandonato e lasciato morire di fame e sete. Da lì si arrivò a un processo lungo e impegnativo, con decine di consulenze, una maxi-perizia, l’audizione di quasi 150 testimoni. E dopo due anni, il 5 giugno 2013, la sentenza: condanna solo dei medici, ma per omicidio colposo; assoluzione di infermieri e agenti della penitenziaria. Il passaggio successivo fu il processo d’appello, con un’altra verità: medici tutti assolti “perché il fatto non sussiste” con la formula che richiama la vecchia insufficienza di prove. Ma la storia fu riaperta dalla Cassazione – il 9 marzo 2016 – che decise di cancellare parzialmente quella sentenza, ritenendo non convincenti le motivazioni dell’assoluzione dei cinque medici. Da qui un nuovo processo d’appello, finito in estate appunto con la dichiarazione di innocenza dei camici bianchi. Chiuso questo capitolo si era aperta una nuova inchiesta della Procura di Roma che ha portato al processo dei cinque carabinieri.
Le motivazioni della Cassazione che ha ordinato il processo – Nelle motivazioni del verdetto di annullamento con rinvio gli ermellini scrivevano che il percorso che aveva portato i giudici d’appello ad assolvere gli imputati si confronta “con l’accertata intempestività e inadeguatezza delle cure derivanti dal comportamento palesemente inattivo dei medici”, che pure era stato evidenziato dal giudice di primo grado e dai periti. “Era stato evidenziato – affermava la prima sezione penale della Cassazione nella sentenza n° 46432 – senza tra l’altro che sul punto le difese siano mai state in grado di dedurre argomenti di segno contrario, che dalla mancata diagnosi sono derivati in primis accertamenti e terapie inidonei“, ma questa considerazione è trascurata dall’appello: “Come se non fosse, in realtà, una delle principali condotte doverose non tenute dai sanitari, la cui efficacia causale doveva essere, invece, vagliata”. Per la Suprema corte era emerso che Cucchi “non era stato informato dei rischi che correva proseguendo con il suo rifiuto di cibo e acqua: un rifiuto “non consapevole e quindi non effettivo”. I medici, secondo la Cassazione, si erano “trincerati dietro un mero adempimento burocratico”, senza neppure coinvolgere la struttura gerarchica.L’ospedale Pertini, nell’ottobre del 2013, risarcì la famiglia.