Trash-Chic

Dubai: la Disneyland del deserto. Una Montecarlo senza i capricci di Charlene, una New York di grattacieli specchiati senza il ciuffo indisponente di Trump

Tutto costruito in mezzo secolo, dalla scoperta del petrolio negli anni ’60. Eppure a denti stretti si mormora che si respira aria di crisi… Nooooo, anche qui???

Chi ce l’ha più lungo? Non ho comprato il pass vip per accedere al Burj Khalifa, il grattacielo più alto del mondo. Già 45 dollari mi sembravano tanti per il biglietto normale. Dunque faccio la fila della fila, 50 minuti. Arrivo finalmente in cima, poso davanti alle ali, fintamente fantasmagoriche, e faccio la farfalla con Dubai ai miei piedi, la città che si allarga a macchia d’olio nel deserto, torri scintillanti, seriali, è difficile immaginare che tutto sia nato da un piccolo villaggio di pescatori. Dalle palafitte ai grattacieli specchiati, in scarso mezzo secolo di storia, praticamente dalla scoperta del petrolio negli anni ’60. Da quando si è incominciato a scavare e a tirare fuori dai pozzi l’oro nero. Il Burj, 829 metri, costruito in soli tre anni, svetta tra tutti. Se penso al buco di Piazza Municipio, la più famosa piazza di Napoli, che fiancheggia il Maschio Angioino, mi viene l’orticaria. I lavori per costruire la metropolitana sono cominciati nel 2003 e sono ben lontani dall’essere finiti. E’ il “Mose” napoletano, un monumento allo spreco di soldi pubblici.

A Dubai i soldi pubblici sarebbero quelli dell’emiro, che ne ha tanti. Eppure a denti stretti si mormora che anche tra le dune bilionaire tiri aria di crisi. Nooooooo, pure qui? Non sarà mica per il divorzio miliardario dalla sesta moglie, la spendacciona Haya, appena scappata a Londra con figli e corte. Lo sci del futuro. Faccio un giro per lo Shopping Mall, il più grande e lussuoso del mondo, passo sotto il tunnel dell’acquario, squali e polipi giganti mi galleggiano sopra la testa, lancio un’occhiata dall’alto alla pista di pattinaggio sul ghiaccio. Poco lontano, seggiovia e neve artificiale, avrei potuto affittare sci e scarponi e lanciarmi in uno slalom nell’hub. E ricordarmi dell’emergenza global warming, i ghiacciai si stanno sciogliendo e fra 20/30 anni scieremo tutti su neve di plastica dentro un hub dentro uno shopping center.

Hic et nunc, ora e adesso. E’ la filosofia “spicciola”, si fa per dire di Dubai. Arrivo per l’aperitivo al One & Only Royal Mirage, (categoria di lusso estremo del Leading Hotels of the World). Sono praticamente tre alberghi in uno. Tre reception, tre diversi state of mind, in un unico concept (di tutto di più di quello che potete immaginare). Si chiama Palace e riecheggia in tutta la sua magnificenza un palazzo da maraja. Da qui il tramonto è una cartolina (senza aggiunta di photoshop) e mentre una palla infuocata si tuffa nel mare il dilemma della scelta: una seduta di yoga sulla spiaggia con saluto al sole o un aperitivo al Jetty Lounge. Faccio tutte e due. Nel bicchiere della pignacolada sembra che abbiano piantato una palma da cocco in miniatura, fluorescente. Sopra la mia testa ondeggiano ventagli di palme. Un tappeto di petali di rose mi conduce al Tagine Restaurant, la varietà dei cous cous elencati sul menù mi stuzzica vari appetiti.

Il té marocchino profumato alla menta è servito sotto una tenda berbera, colonne e drappeggi sprizzano scintille. Mi manca solo una sniffata di tabacco aromatizzato alla cannella sbuffante dal narghilè, ma non c’è tempo una Rolls Royce, bicolore, bianca e color nocciola, mi aspetta all’ingresso. Me l’ha mandata la mia amica Ivona, più bella di Ivana e Ivanka (Trump) messe insieme. Si è appena sposata con un brillante businessman di Dubai, e tra le dune di sabbia rossa Antonio Riva, lo stilista più amato dalle spose del Medioriente, l’ha avvolta in una nuvola di chiffon. Finalmente Gaia, si chiama così il nuovo e fiammante ristorante italiano aperto nel cuore del Financial District ( suo marito le ha regalato delle quote perché le mancava tanto l’Italia). Mi lascio tentare da un tonno marinato al tartufo e respiro aria di Capri visto che Gianluigi Lembo, il mio chansonnier preferito, con “Anema ‘e Core” qui è di casa”. Mi siede vicino a Just Sul, ex ingegnere informatico di Bombay, che ha cambiato lavoro perché facendo video demenzial/artistici lavora di meno, si diverte di più e guadagna milionate di followers.

Suo marito Ayman Al Afifi, (per chi non lo sapesse il prefisso Al presume una vicinanza di parentela con la famiglia reale) è un appassionato di tennis e insieme ad Andreas Fend, ex campione di sci, vogliono inventarsi il torneo “The Golden Raquet” in gemellaggio con Gstaad, il luxury resort ad alta quota. A Dubai si giocherebbe sul campo da tennis sospeso tra cielo e mare del lussuoso hotel Bury Al Arab, conosciuto come la Vela. Quando non si gioca, funziona da pista d’atterraggio per elicotteri. A trasmettere la partita in mondo/visione ci penserebbero i droni. Vicino di bottega di Gaia è il “Socialista”, un cigar bar di lusso con la scritta members only che dovrebbe scoraggiare l’accesso ai più. Sapete cosa significa? chiedo al buttafuori. Noooo. Trovo buffo che nella città tempio del capitalismo si dia un nome che evoca tutt’altro.
Volo all’aeroporto. Il mio reportage da inviata speciale nel mondo dei ricchi è finito. Peccato. Mi ci stavo abituando.
Maasalaamah, Arrivederci.

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