ArcelorMittal “ha deciso”: andrà via da Taranto. Il funerale dell’avventura della multinazionale dell’acciaio in Italia lo celebra, almeno a parole, l’amministratore delegato della multinazionale dell’acciaio, Lucia Morselli, durante l’incontro con i sindacati al ministero dello Sviluppo Economico: “Il recesso è in corso. Inutile parlare di esuberi o altro. Prima c’era l’immunità, ora non più e non si può produrre”. La sua sintesi, apprende Ilfattoquotidiano.it da fonti presenti al vertice, è un attacco frontale al governo italiano: “Ha preso in giro i più grandi produttori al mondo di acciaio e i Mittal ne hanno preso atto. Il governo ha preso in giro i salvatori della Patria”. E la chiusura finale: “Mittal ha deciso. Non siamo qui a parlare di un accordo, state facendo le domande all’interlocutore sbagliato”, ha riferito con una frase sibillina traducibile sia con “parlate ai commissari” che “parlate con i proprietari”. In ogni caso, accusa, le condizioni dell’area a caldo dell’acciaieria di Taranto sono in questo momento “criminali” e l’immunità penale è indispensabile per continuare a produrre.
“Una delle condizioni che era considerata essenziale, quando abbiamo firmato il contratto d’affitto, era l’immunità penale – ha aggiunto Morselli – Un’altra condizione era lo stato degli impianti che non era quello che ci era stato prospettato”. Fino a qualche settimana produrre in quell’impianto, ha specificato, “non era un crimine ora lo è”. Quindi si è soffermata sulle prescrizioni sull’altoforno Afo2: “Ci era stato detto che tutto quello che era stato chiesto dalla magistrature come interventi di miglioramento era in corso, invece non era stato fatto niente”, l’ultimo affondo nella giornata in cui l’azienda ha comunicato il cronoprogramma dello spegnimento di tutti gli altoforni – tra il 10 dicembre e il 15 gennaio – e il governo ha depositato il ricorso d’urgenza per scongiurare la fuga.
Presenti all’incontro i segretari di Cgil, Cisl e Uil – Maurizio Landini, Annamaria Furlan, Carmelo Barbagallo – e i leader delle sigle metalmeccaniche, Marco Bentivogli, Francesca Re David e Rocco Palombella. Che al termine del faccia a faccia hanno iniziato una riunione per decidere il da farsi dopo la chiusura totale dell’azienda: l’appello unitario, al termine della giornata, è a Conte affinché avvii “un tavolo con la proprietà per trovare soluzioni” al quale vogliono partecipare e chiedono al governo di “ripristinare lo scudo penale per togliere gli alibi ad ArcelorMittal”. La “mobilitazione prosegue”, aggiungono, e mettono in guardia: “I lavoratori non si renderanno complici dello spegnimento dell’acciaieria”.
In apertura dei lavori, il ministro Stefano Patuanelli aveva ribadito all’azienda che non riconosce il diritto di recesso dal contratto, quindi all’uscita ha aggiunto: “L’azienda ha detto qualcosa che ci ha lasciato piuttosto perplessi: che tutto è legato allo scudo penale quando dal 12 settembre dichiara che ci sono 5mila esuberi necessari per un problema strutturale dell’impianto che non potrà mai più produrre più di 4 milioni di tonnellate l’anno. Allora l’azienda si deve mettere d’accordo con se stessa”. Durante il faccia a faccia Re David ha ricordato che il tema dei dazi – una delle questioni con cui viene motivato il recesso – venne posto già nel 2018 e l’azienda disse di essere che “erano in grado di affrontare” il problema. E sul piano di chiusura presentato nelle scorse ore da ArcelorMittal la leader della Fiom ha detto: “Chiunque è in affitto non può restituire una casa incendiata”.
Barbagallo ha focalizzato il suo intervento sul ruolo del governo, chiedendo a Patuanelli di reintrodurre lo scudo “se è il vero problema”. Altrimenti, ha detto il leader della Uil, “si rischia la chiusura della più grande acciaieria europea, la perdita di 20mila posti di lavoro e un grosso problema per il sistema industriale italiano”. Quindi ha avvertito: “Se se ne va Arcelor nessuno risanerà più l’ambiente. Ci sarà un’altra Bagnoli”. A sentire Morselli il rischio è dietro l’angolo.