È la Germania il primo paese europeo che ha imposto il divieto alla propria squadra di giocare in quei paesi in cui non vi è parità di genere. La Federcalcio tedesca, la Dfb, ha infatti dichiarato attraverso il suo presidente Fritz Keller in un’intervista a Die Welt che non farà disputare, alle proprie selezioni nazionali, partite in Paesi che non rispettano le donne.
“Basta far finta di niente – ha dichiarato Keller – per il calcio tedesco questo significa che non dobbiamo più fingere che queste sfide sociali e questi sviluppi politici globali non esistano. Per questo motivo durante la mia prima riunione dell’Ufficio di presidenza della Dfb ho presentato un progetto di risoluzione in base al quale non consentiremo più alle squadre nazionali di giocare in Paesi in cui alle donne non è concesso pari accesso agli stadi di calcio o ad altre strutture sportive su base discriminatoria. La mia proposta è stata adottata all’unanimità dalla presidenza del Dfb”.
Purtroppo sono ancora tanti i Paesi nel mondo in cui i diritti delle donne non sono uguali a quelli degli uomini. Il caso eclatante è quello dell’Iran, in cui le donne hanno avuto accesso allo stadio solo un mese fa e solo per le partite della Nazionale iraniana, mentre per quelle interne al paese le donne ancora sono costrette a vedersi le porte sbarrate. Proprio a motivo di questa recriminazione nei confronti delle donne, la Figc ha accolto la richiesta di ospitare una delegazione di donne iraniane su iniziativa di Mete Onlus, nell’ambito della Campagna Women’s Freedom Iran.
Una delegazione di donne iraniane sarà infatti presente allo stadio di Palermo Renzo Barbera lunedì 18 novembre per la disputa della partita Italia-Armenia. L’incontro prevedeva una delegazione composta da decine di donne iraniane residenti in Italia. Il numero delle partecipanti con l’avvicinarsi dell’evento è andato via via diminuendo e quasi tutte dopo varie scuse hanno ammesso di aver paura nel mostrarsi ed essere poi eventualmente identificate, per possibili ritorsioni nel loro paese.
Ultimamente l’Iran sta attuando una politica di “vendetta trasversale” nei confronti delle attiviste al di fuori del paese che cercano di aiutare alla comune causa della parità di genere. È notizia di qualche settimana fa, infatti, il caso della giornalista esule iraniana Mashih Alinejad che da tempo esorta le donne alla rimozione del velo obbligatorio in Iran attraverso la campagna My Shealthy Freedom e The White Wednesday, al quale è stato arrestato il fratello residente a Tehran solo perché suo congiunto.
È comprensibile dunque la mancanza di coraggio da parte di queste giovani iraniane in Italia, anche se molte di loro saranno comunque presenti allo stadio di Palermo distribuite nei vari settori senza essere invividuate.
L’evento di MeteOnlus promosso dalla sua Presidente Giorgia Butera – che già in passato ha ideato campagne per la tutela dei diritti umani, in stretta collaborazione con l’avvocato Francesco Leone, presidente dell’Associazione dei Giuristi siciliani “A.Giu.Ssi” – ha l’obiettivo di mostrare come il libero accesso allo stadio per le donne debba essere garantito in ogni paese. Lo sport deve essere un ponte tra culture e popoli, e mai utilizzato come mezzo di divisione.
La questione delle donne allo stadio in Iran è cresciuta nell’ultimo decennio. Nel 2014 venne arrestata Ghoncheh Ghavami, una giovane donna anglo-iraniana che aveva protestato davanti allo stadio Azadi di Tehran perché avrebbe voluto assistere ad un evento maschile di volley. Per questa sua protesta venne condannata ad un anno di reclusione e svariati mesi di isolamento.
La vicenda di Ghavami, come quella delle tante donne entrate allo stadio travestite da uomini indossando barbe e baffi, hanno alimentato un serio dibattito internazionale. Già durante la scorsa estate anche la Fifa si era impegnata dando l’ultimatum alle autorità iraniane di rimuovere il divieto alle donne, pena l’esclusione dalle competizioni per le classificazioni ai mondiali 2022.
La vicenda però che ha colpito l’opinione pubblica di tutto il mondo è stata nello scorso mese di settembre, quando una giovane donna di 29 anni di nome Sahar Khodayar si è suicidata dandosi fuoco, dopo essere stata condannata a sei mesi di carcere proprio per essere entrata allo stadio vestita da uomo. Sahar è stata soprannominata la “ragazza blu” per il colore della sua squadra del cuore, l’Esteghlal, attualmente allenata dal tecnico Andrea Stramaccioni – al momento anche lui in bilico tra il lasciare o il rimanere.
Finalmente dopo varie pressioni lo scorso 10 ottobre l’Iran ha ammesso, per la prima volta dalla Rivoluzione Islamica, le donne allo stadio. Non abbiamo idea di quanto tempo ancora l’Iran abbia bisogno per aprire le porte dello stadio per tutte le competizioni sportive e maschili, ma sappiamo che di 80mila posti dello stadio Azadi di Tehran le autorità iraniane hanno concesso solo 4mila biglietti per le donne, che come di consueto erano collocate a distanza dagli uomini, separate da sbarre di ferro. Cifre che fanno riflettere.
La mossa strategica dell’Iran è sicuramente da considerarsi un piccolo grande passo per l’emancipazione femminile, ma anche una costante forma di discriminazione. Sull’esempio della Germania credo che tutte le società sportive dovrebbero rivedere quale condotta adottare nei confronti di quei paesi – come l’Iran e non solo – che ancora impongono divieti e restrizioni nei confronti delle donne.