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Padre e figlio progettavano di far saltare una moschea: il gip di Siena convalida il fermo ma esclude la finalità terroristica

Andrea Chesi, di 60 anni, e Yuri Chesi, 22 anni, erano stati fermati lo scorso 12 novembre in flagranza per detenzione di armi e munizioni da guerra nell'inchiesta della Dda di Firenze sull'estremismo di destra. Il padre è ora ai domiciliari, il figlio ha l'obbligo di dimora
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Il gip di Siena ha convalidato i fermi ma ha escluso l’aggravante della finalità terroristica per Andrea Chesi e Yuri Chesi, padre e figlio protagonisti dell’inchiesta della Dda di Firenze sull’estremismo di destra che ha portato a scoprire un arsenale di armi e l’intenzione di far saltare la moschea di Colle Val d’Elsa, in provincia di Siena, sabotando le tubature del gas. Ora per il padre, di 60 anni, il gip ha disposto la misura ai domiciliari nella sua abitazione di Sovicille, mentre per il figlio, di 22 anni, l’obbligo di dimora.

Lo scorso 12 novembre i due erano stati fermati in flagranza per detenzione di armi e munizioni da guerra, dopo che in loro possesso erano stati trovati tritolo, polvere da sparo e parti di bombe della seconda guerra mondiale. Con loro altri 12 indagati: tutti d’accordo, secondo quanto emerso dalle intercettazioni della polizia, nel costituire una “struttura qualificata pronta per ogni evenienza”, una sorta di “guardia nazionale repubblicana” chiamata a intervenire “armi alla mano, senza chiamare le forze dell’ordine e fare giustizia sommaria“. Si lamentavano però che “noi, come ci si muove, siamo non guardati a vista… di più !”.

“I miei assistiti hanno dichiarato di fronte al giudice di aver agito in buona fede senza rendersi conto di ciò che stavano facendo”. È quanto ha spiegato ai giornalisti, dopo l’udienza per la convalida di venerdì 15 novembre, l’avvocato Francesco Pletto, difensore di Andrea Chesi e di suo figlio Yuri. E aggiunge: “Padre e figlio hanno cercato di chiarire le contestazioni dopo aver dimostrato piena collaborazione anche durante le perquisizioni e i sequestri delle armi”. Le indagini erano partite da alcune conversazioni sui social tra gli indagati che inneggiavano all’odio razziale e al fascismo: su Facebook Andrea Chesi, dipendente della Banca Monte dei Paschi e nostalgico del fascismo e del nazismo, divulgava foto e scritte inneggianti le Ss, Adolf Hitler e Benito Mussolini.

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