“La strada della morte”: è il soprannome, cattivo e appropriato allo stesso tempo, che è stato dato alla 106 Jonica, in particolare al tratto che percorre la parte Est della provincia di Reggio Calabria. È un nomignolo cattivo, perché in quei territori c’è natura, arte e storia di una bellezza da lasciare senza fiato. Ma è, purtroppo, anche appropriato, a causa dei terribili incidenti stradali che vi si sono registrati nei decenni.
Il bellissimo, come accade dalle nostre parti, si accompagna al bruttissimo senza soluzione di continuità: spiagge degne dei Caraibi sono spesso deturpate dalla speculazione edilizia, dal “non finito calabrese”, dalla tremenda cattedrale industriale abbandonata di Saline con la sua ciminiera di oltre 170 metri. E quello che, in un mondo perfetto, sarebbe soltanto un viaggio nelle meraviglie della Magna Grecia diventa – per l’osservatore più attento e disincantato – anche un viaggio nel ventre oscuro della ‘ndrangheta, dando così una ulteriore e ancora più drammatica sfumatura alla fama cruenta della 106.
In questo percorso ci accompagna magistralmente Antonio Talia, con il suo Statale 106 – viaggio sulle strade segrete della ‘ndrangheta. Il volume si apre, emblematicamente, con due mappe accostate. Su una, il percorso fisico della Statale tra Reggio e Gioiosa. Sull’altra, i tanti e lontanissimi luoghi del pianeta in cui, metaforicamente, la via oscura della Calabria ha altrettanti svincoli: Sydney, Montevideo, Hong Kong. Fortaleza, New York…
Nelle 300 pagine che seguono, Talia non cade in nessuno dei due errori speculari troppo frequenti nella letteratura meridionale e meridionalista: da un lato, quello di giustificare tutto minimizzando i problemi e le difficoltà (per un orgoglio cieco, o per non dare un’immagine negativa ai “forestieri”); dall’altro quello di cadere nel nichilismo fatalista degli sconfitti, a cui tutto dovrà andare sempre male perché gli Dei ci odiano e non possiamo fare niente per cambiare le cose. Tutt’altro: l’autore ha una penna rigorosa e vivace allo stesso tempo, senza pietà ma non senza speranza. Una penna coraggiosa, che non esita a fare nomi e cognomi. Una penna informata, tanto è vero che le ricche annotazioni delle ultime pagine si possono agevolmente trasformare in una bibliografia per chi vuole proseguire ancora il viaggio.
Inevitabilmente il libro non è un trattato completo sulla ‘ndrangheta e non va letto come tale: concentrarsi sul versante jonico significa – e l’autore lo sa – trascurare le vicende che si svolgono sulla costa tirrenica, tra cui basti ricordare quella del giudice Antonino Scopelliti. Ma sicuramente Statale 106 merita di essere inserito nella biblioteca dei testi indispensabili per lo studio di questo fenomeno criminoso.
Sono da sempre del parere che inchiodare alle proprie responsabilità chi fa il male del Sud (e, in effetti, di molti altri luoghi, perché le mafie sono dovunque) è uno dei più profondi e consapevoli gesti d’amore nei confronti dei nostri territori. Che non c’è nessun onore nell’impedire lo sviluppo e la felicità della propria terra. Che i calabresi non sono quelli nati tra Capo Spartivento e il Pollino, ma quelli che la Calabria la amano e la rispettano. Ed è per questo che il momento più commovente dell’opera di Talia è quello più ingenuo e istintivo: quando, dopo centinaia di pagine di inchiesta rigorosa e di denuncia spietata, l’autore finalmente tira il fiato, alza il volume della radio e immagina una 106 pacificata e felice, nella luce indaco e dorata del tramonto.