Ciò che era previsto dalle ultime bozze della Manovra 2020 prima della trasmissione al Senato è cambiato: nel testo arrivato a Palazzo Madama si parla della “non applicazione” temporanea (tre anni) delle norme e di soppressione. Per Greenpeace, WWF e Legambiente si tratta di una “retromarcia da parte del governo” in materia di royalties relative alle estrazioni di gas e petrolio
Le franchigie che finora hanno fatto risparmiare alle compagnie dell’oil&gas circa 58 milioni di euro, tutti mancati introiti per lo Stato, non verranno abolite, come previsto dalle ultime bozze della Manovra 2020 prima della trasmissione al Senato, ma sospese sospese per tre anni. Nel testo arrivato a Palazzo Madama, infatti, si parla della “non applicazione” temporanea delle norme del Decreto legislativo 625/1996. Per Greenpeace, WWF e Legambiente si tratta di “un passo indietro da parte del governo” in materia di royalties relative alle estrazioni di gas e petrolio. E così chiedono, in queste ore così difficili per Venezia, “che si garantisca la piena tutela del golfo da qualsiasi attività estrattiva, anche sperimentale”.
FRANCHIGIE SOSPESE PER TRE ANNI – L’articolo 94 del testo, intanto, interviene sull’articolo 19 del dl 625 e sterilizza le esenzioni dal pagamento delle aliquote di prodotto della coltivazione di idrocarburi per i versamenti dovuti per il triennio 2020- 2022. Aliquote previste dai commi 3, 6, 6-bis e 7 dello stesso articolo 19. Secondo quanto emerge dalla relazione tecnica all’analisi dei dati di produzione dell’ultimo triennio (2016-2018) il maggior gettito, per lo Stato, generato dall’azzeramento della franchigia applicato alle produzioni di olio e gas di concessioni in mare e in terra è attestato a 40 milioni di euro. “La tendenza osservata in questi anni – si spiega nella scheda di lettura pubblicata il 6 novembre sul sito del Senato – e che si prevede continui anche nei prossimi anni è di una progressiva riduzione del volume di produzione nazionale di olio e gas, che potrebbe essere compensata dall’entrata in esercizio di alcuni siti specifici”.
COME FUNZIONA OGGI IL SISTEMA – Oggi, in Italia, le imprese private che, in dipendenza dell’attribuzione di una concessione, effettuano la produzione di idrocarburi corrispondono aliquote di tali produzioni (Royalties) allo Stato, alle Regioni e ai Comuni interessati. Per le produzioni di idrocarburi (liquidi e gassosi) in terraferma, compresi i pozzi che partono dalla terraferma, a decorrere dal 10 gennaio 2009, le royalties sono pari al 10% del valore della produzione. Per quelle in mare sono del 7% per il gas e del 4% per il petrolio e sono applicate sul valore di vendita delle quantità prodotte. Sono però esenti dal pagamento di aliquote allo Stato le prime 20mila tonnellate di petrolio prodotte annualmente in terraferma, le prime 50mila tonnellate di petrolio prodotte in mare, i primi 25 milioni di metri cubi standard di gas estratti in terra e i primi 80 milioni di metri cubi standard in mare. Sono gratis, cioè esentate dal pagamento di qualsiasi aliquota, le produzioni in regime di permesso di ricerca. Stando ai dati del Mise, parliamo solo per il 2017 di 434.580 tonnellate di petrolio estratte (10,5% del totale) e di 2.202 milioni di Smc pari al 38,9% del totale. Da qui i 58 milioni di euro di mancati introiti per lo Stato, circa 36,4 milioni euro da parte di Eni e 4 milioni circa da Edison. Poco si prevede faranno i canoni, aumentati (per ora ancora sulla carta) di 25 volte con il decreto Semplificazioni.
LA DENUNCIA DELLE ASSOCIAZIONI – “Una volta scaduti i tre anni – commentano Greenpeace, Legambiente e Wwf – le compagnie fossili potranno riprendere a estrarre sotto le soglie senza versare un centesimo. Mentre i drammatici eventi di questi giorni che hanno messo a rischio la città lagunare impongono al più presto una modifica normativa che smetta di favorire i petrolieri e riproponga il divieto rigoroso di qualsiasi trivellazione nel Golfo di Venezia”. Tornando ai numeri e, nello specifico, all’adeguamento dei canoni di concessione, le associazioni ricordano che “non è ancora stato attuato” e sostengono che sia necessario nel nostro Paese “alzare le royalties”. Nel frattempo, la franchigia pensata per favorire i piccoli player rischia di continuare ad avvantaggiare le grandi compagnie (le estrazioni offshore, ad esempio, sono per circa l’85 per cento in capo a Eni) “che per anni hanno approfittato per estrarre le scarse risorse dei propri pozzi in quantità sotto la soglia, diluendole nel tempo in modo da non pagarci le tasse”. Di fatto, tra il 2017 e i primi mesi del 2018 la franchigia è stata applicata al 27 per cento della produzione italiana di gas offshore e al 22 per cento circa della produzione offshore di petrolio. Dunque, per un quarto della produzione di idrocarburi in mare le compagnie non hanno versato un centesimo nelle casse dello Stato.
LA TUTELA DEL GOLFO DI VENEZIA – “Il rischio di nuovi progetti di estrazione minaccia addirittura il Golfo di Venezia – ricordano gli ambientalisti – città drammaticamente interessata proprio in queste ore dagli effetti devastanti dell’emergenza climatica in corso”. Nonostante dal 2008 vi sia un divieto di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi nelle acque del Golfo di Venezia, a causa del grave rischio di subsidenza (che prevede il vaglio del ministero dell’Ambiente su eventuali nuovi studi presentati dalle compagnie) tale norma è stata aggirata nel 2014 da una modifica del Decreto Sblocca Italia che consente di avviare “progetti sperimentali di coltivazione di giacimenti” nell’area off-limits, sulla base di un’autorizzazione concessa dal Ministero dello Sviluppo economico, seppur di concerto con il Ministero dell’Ambiente. Per le organizzazioni ambientaliste, che da tempo denunciano anche questa vicenda, l’abolizione di questa norma sarebbe un altro segnale importante, da parte del governo, verso un futuro senza fossili.