Dopo l’alluvione che ha allagato Venezia, la ministra delle Infrastrutture e Trasporti Paola De Micheli ha nominato il nuovo commissario straordinario per il Mose: si tratta di Elisabetta Spitz, che ha detto che intende completare l’opera – la cui costruzione è iniziata nel 2003 – entro il 2021. Il sindaco di Venezia, invece, è stato nominato commissario per la gestione della ricostruzione dal Consiglio dei Ministri. La settimana prossima, infine, Calogero Mauceri sostituirà Marco Rettingheri nella carica di commissario straordinario per il Terzo Valico e il nodo ferroviario di Genova: un commissariamento arrivato dopo l’inchiesta della magistratura che aveva portato in carcere per corruzione i vertici del consorzio Cociv durante i lavori di realizzazione dei 53 chilometri di ferrovia Novi Ligure a Genova.

Tre commissari nominati in una sola settimana, che proseguono una tradizione lunga e finora fallimentare: nelle intenzioni, i responsabili straordinari per le opere pubbliche avrebbero dovuto fare i miracoli (rilanciare l’occupazione, accelerare le opere e sviluppare l’economia), ma così non è stato. Gli unici obiettivi davvero raggiunti sono stati l’impennata della spesa pubblica per il crescere dei costi, in parte proprio anche a causa del costo delle strutture commissariali, e la perdita di credibilità delle nostre istituzioni e stazioni appaltanti pubbliche. Va ricordato che nel Veneto di Zaia “per il Mose le competenze sono statali”, ha detto il governatore, che ha usato però le competenze regionali quando nel 2018 ha nominato Commissario straordinario regionale Marco Corsini per togliere dalle sabbie mobili in cui è finita e resta la Superstrada Pedemontana Veneta (Spv).

Nell’ottobre del 2018 è stato nominato dal governo il sindaco di Genova Marco Bucci come commissario straordinario per la ricostruzione del ponte Morandi. Prima mossa affidare senza gara la ricostruzione escludendo l’interesse manifestato dal consorzio Salc con i cinesi di Cccc (quelli che hanno costruito il ponte più lungo del mondo), che prevedeva la realizzazione di tre corsie per senso di marcia, oltre alla corsia di emergenza. Si sarebbero risparmiati 25 milioni rispetto ai costi del progetto Fincantieri-Italferr-Impregilo a cui sono stati affidati i lavori. Con le 3 corsie del consorzio Salc al posto delle due della cordata nazional-popolare ci si è preclusi una valida alternativa alla Gronda dando luogo ad interventi sulla rete di ponente diffusi, meno costosi e meno impattanti e meno problematici.

Per citare altri esempi, basterebbe ricordare Paolo Foietta, commissario della Tav Torino-Lione dall’aprile del 2015 al febbraio del 2019, opera che oggi è gestita dall’Osservatorio per l’asse ferroviario Torino-Lione istituito nel 2006 dal governo di Romano Prodi. O Pietro Ciucci, che per ben sei anni è stato presidente, poi amministratore unico dell’Anas e pure commissario straordinario per il Ponte sullo Stretto. Da settembre 2016 è stato Commissario straordinario di Governo alla Ricostruzione delle aree colpite dal terremoto del Centro Italia, fino al settembre 2017 Vasco Errani, quando gli è succeduta nella carica di Commissario Paola De Micheli. Nello scorso agosto, poi, c’è stato l’amaro anniversario del sisma che distrusse Amatrice, Accumoli e Arquata del Tronto: alla cerimonia in memoria delle vittime ha partecipato il commissario straordinario alla ricostruzione post-sisma, Piero Farabollini, costatando che dopo quattro anni la ricostruzione non arriva al 5 per cento.

Anziché adottare poche regole chiare, semplici e veloci come quelle dei Paesi europei che hanno recepito gli indirizzi comunitari, l’Italia continua a seguire la strada delle nomine emergenziali di commissari che, come dimostrano le cronache recenti, oltre a non riuscire – nella maggior parte dei casi – a velocizzare i lavori, spesso si dimostrano assai vulnerabili a fenomeni di corruzione, malversazione e aumento dei costi. Secondo l’associazione nazionale dei costruttori (Ance), peraltro, tra le cause del blocco di 630 opere pubbliche solo il 9 per cento è da attribuire alla farraginosità del codice degli appalti. Il 43 per cento delle opere è invece fermo per ragioni procedurali/amministrative, il 36 per motivi finanziari e il 19 per mancate decisioni politiche. Dati che dimostrano come non servano ennesime riforme del codice degli appalti, così come l’inutilità di proseguire a istituire commissari straordinari, con il risultato che ormai in Italia è la deroga a essere diventata la vera procedura ordinaria: senza tuttavia che le criticità siano venute meno. Non rimane che sperare, per il bene di Venezia e del Paese, che stavolta non vada così, anche se i dubbi non mancano.

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