ArcelorMittal vuole “consapevolmente cancellare” l’Ilva di Taranto attraverso una restituzione degli impianti, resa nota il 4 novembre e comunicata ufficialmente undici giorni dopo, con modalità che “non possono che comportarne la distruzione”. Un “preordinato illecito disegno” che i commissari chiedono al Tribunale civile di Milano di fermare evitando così la “morte del primo produttore siderurgico italiano e di uno dei maggiori d’Europa”. Le 70 pagine di ricorso urgente ex articolo 700 firmate dagli avvocati Giorgio De Nova, Enrico Castellani e Marco Annoni sono un atto di accusa durissimo nei confronti della multinazionale dell’acciaio, che sta cercando di perseguire l’“illegittimo intento” di sciogliere il contratto d’affitto e i cui comportamenti “sono stati programmati” per “recare il maggior possibile livello di devastante offensività”.

“Danni sistemici incalcolabili” – Un’iniziativa “gravissima” e “unilaterale” che se arrivasse a termine porterebbe alla restituzione delle “macerie” di un impianto industriale di “interesse strategico”. E tutto questo “determinerebbe danni sistemici incalcolabili” a carico dell’“intera economia nazionale” e provocherebbe anche “una gravissima crisi occupazionale”, lasciando “irrisolte problematiche ambientali e di sicurezza”. I legali di Ilva in amministrazione straordinaria per sostenere la propria tesi riportano come ArcelorMittal ha “interrotto qualsiasi ordine di materie prime”, “ha rifiutato nuovi ordini dei clienti”, “ha interrotto i rapporti con i subfornitori” e “ha interrotto l’avanzamento del Piano Ambientale” e “sta interrompendo la manutenzione degli impianti”. Non da ora, ma già da mesi: “Non ha neppure eseguito il programma di manutenzione concordato nell’ambito del Contratto in modo coerenti alle migliori pratiche di esercizio”, si legge nel testo ora al vaglio del giudice Claudio Marangoni che si esprimerà entro il 4 dicembre. Da un documento inviato dalla multinazionale a Ilva lo scorso 25 settembre emerge, secondo i legali dei commissari, “che molte delle attività programmate per il periodo novembre 2018-aprile 2019 non erano state eseguite o erano state effettuate solo in parte”. Un’iniziativa quella di sciogliere il contratto di affitto dell’ex Ilva che “nulla c’entra con le giustificazioni avanzate che non pervengono neppure ad un livello di dignitosa sostenibilità: essa è invece semplicemente strumentale alla dolosa intenzione di forzare con violenza e minacce un riassetto” dell’obbligo contrattuale “precedentemente negoziato (…) che il gruppo (…) evidentemente non ritiene più rispondente ai propri interessi”.

Si rischia “la morte del primo produttore siderurgico italiano” – Tanto che i legali si spingono a dire che le “vere ragioni” del modus operandi dei franco-indiani “sono evidentemente da ascrivere” o “all’intervenuto riscontro della propria incapacità di gestire l’operazione perseguita”, un’interpretazione definita “benevola”, oppure “alla pervicace volontà di eliminare dal mercato definitivamente un proprio concorrente distruggendone l’organizzazione aziendale”. Un’interpretazione, si legge ancora, “forse più probabile a fronte della condotta di ArcelorMittal negli ultimi quindici giorni”. La “realizzazione del preordinato illecito disegno”, aggiungono, “condurrà inevitabilmente al perimento degli altoforni” nonché alla “distruzione dell’avviamento, ed alla dispersione del know-how aziendale”. In pratica, sintetizzano, “alla morte del primo produttore siderurgico italiano e uno dei maggiori d’Europa”.

Nel ricorso si ricorda che “ArcelorMittal non è un turista passato per caso per Taranto quale tappa per raggiungere una località balneare del Salento: è il maggior player mondiale nella produzione dell’acciaio che dopo oltre un anno di due diligence, verifiche tecniche, negoziazioni, sopralluoghi ed esami tecnici ha stipulato un contratto vincolate per l’acquisto dei complessi aziendali che rappresentano il cuore della industria siderurgica italiana”. In sostanza, tra le altre cose, secondo gli avvocati dei commissari, ArcelorMittal sa bene che lo scudo penale non era parte integrante del contratto e usa la sua eliminazione come un “pretesto”.

Rischi sul piano della sicurezza del personale e dell’impatto ambientale – Non solo. Gli avvocati sottolineano come “attesa la rilevanza degli interessi in gioco, il periculum è, come si suol dire, in re ipsa, in quanto è di intensità e natura tali da risultare del tutto plateale. Ove non venisse immediatamente ordinato” a ArcelorMittal “di sospendere qualsiasi attività prodromica alla cessazione della esecuzione dei contratti di affitto e alla restituzione dei complessi aziendali si determinerebbero infatti danni incalcolabili e largamente irreversibili sia a carico delle società del gruppo Ilva che, in via immediata e diretta, della intera collettività”. Non solo danni economici. “Laddove ArcelorMittal dovesse procedere, come preannunciato, alla chiusura degli impianti produttivi dell’area a caldo, gli stessi subirebbero un processo di raffreddamento che causerebbe danni sostanzialmente definitivi ai mattoni refrattari stessi, determinandone la riduzione di volume, l’insorgenza di lesioni, il distacco dalle superfici adiacenti tra mattone e mattone e dalle parti metalliche che realizzano le strutture portanti”, ma in caso di spegnimento e di “riavviamento dell’impianto oggetto della sospensione di produzione”, si “innescherebbe un processo graduale di riscaldamento dei mattoni refrattari precedentemente raffreddati foriero di gravissimi rischi non solo dal punto di vista tecnico ma, anche, sul piano della sicurezza del personale preposto, e dell’impatto ambientale“.

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