Le ditte dell’indotto in presidio davanti all’ingresso, i sindacati al Quirinale in serata, l’apertura del ministro Francesco Boccia a un “prestito ponte” se ArcelorMittal dovesse decidere di andare via e l’udienza sul ricorso d’urgenza dei commissari fissata al 27 novembre con il giudice Claudio Marangoni del Tribunale Civile di Milano che ha chiesto di mantenere l’operatività degli impianti dell’ex Ilva fino alla decisione. E in serata l’azienda che convoca con urgenza le organizzazioni sindacali per comunicare la sospensione del cronoprogramma di spegnimento.
Si è aperta così la prima giornata di una una settimana cruciale per il futuro dello stabilimento siderurgico di Taranto, in attesa di un nuovo incontro tra il premier Giuseppe Conte e il proprietario della multinazionale Lakhsmi Mittal che gli sherpa continuano a tessere per cercare di uscire dall’impasse nella quale è finito il siderurgico. L’incontro è stato fissato per venerdì alle 18. 30. In giornata sono arrivate anche le prime mosse delle due procure – quella jonica e Milano – che indagano sulla gestione del siderurgico nell’ultimo anno, dai prezzi delle materie prime alle vendite infragruppo fino alla ‘sparizione’ del magazzino. E in serata l’ad, Lucia Morselli, ha comunicato “sia la regolare ripresa delle attività e degli ordini commerciali, a partire dal Treno Nastri 2, che la prosecuzione della marcia di Afo 2 (altoforno 2 ndr) in attesa di una definitiva decisione della Procura di Taranto”.
Udienza su ricorso il 27 novembre – Il Tribunale civile di Milano questa mattina ha fissato per il 27 novembre l’udienza sul ricorso d’urgenza ex articolo 700 depositato dai legali dei commissari straordinari dopo il recesso annunciato dall’azienda e la citazione depositata contro i commissari che verrà discussa il 6 maggio 2020. Contestualmente ha invitato l’azienda “a non porre in essere ulteriori iniziative e condotte in ipotesi pregiudizievoli per la piena operatività e funzionalità degli impianti” eventualmente “differendo lo sviluppo delle operazioni già autonomamente prefigurate per il tempo necessario allo sviluppo” del procedimento. Una decisione destinata a rallentare il cronoprogramma impostato dalla multinazionale per lo spegnimento dell’acciaieria 1 e dell’altoforno 2 in programma il 10 dicembre. Tra gli altri motivi della fuga, ArcelorMittal indica anche la perdita delle quote di Co2 a partire dal 2020. Un bluff, come spiegato da un’inchiesta de Ilfattoquotidiano.it.
Il gruppo: “Seguiremo invito del Tribunale” – Il gruppo in serata ha emesso una nota con cui comunica la sospensione dello spegnimento: “A seguito della recente richiesta dei Commissari dell’Ilva al Tribunale di Milano volta all’ottenimento di provvedimenti provvisori relativi all’acciaieria di Taranto, AM InvestCo Italy prende atto e saluta con favore l’odierna decisione del Tribunale di non accogliere la richiesta di emettere un’ordinanza provvisoria senza prima aver sentito tutte le parti. AM InvestCo seguirà l’invito del Tribunale a interrompere l’implementazione dell’ordinata e graduale sospensione delle operazioni in attesa della decisione del Tribunale. Tale processo è in linea con le migliori pratiche internazionali e non recherebbe alcun danno agli impianti e non comprometterebbe la loro futura operatività”. Una posizione che i commissari – che hanno presentato il ricorso – non solo non condividono ma contestano con estrema durezza parlando di un “disegno per distruggere l’acciaieria”.
Landini (Cgil): “Primo risultato” – La sospensione della procedura di spegnimento degli impianti “è un primo risultato importante ma adesso non c’è tempo da perdere” dice il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, all’uscita dal Quirinale. “Noi abbiamo chiesto al presidente del consiglio di convocare la proprietà e i sindacati perché A.Mittal deve revocare il provvedimento e il governo deve ripristinare tutte le condizioni legislative presenti all’atto dell’accordo.È il momento della responsabilità”.
La crisi dell’indotto – In mattinata, come annunciato domenica, diversi mezzi pesanti si erano già schierati davanti alle portineria dello stabilimento siderurgico in segno di protesta per i crediti vantati in generale dalle aziende dell’indotto (non sono dagli autotrasportatori) nei confronti dei gestori di Arcelor Mittal. Sul posto il presidente della Regione Puglia Michele Emiliano e il presidente della Confindustria Taranto Antonio Marinaro. Le imprese, la scorsa settimana, avevano messo in mora ArcelorMittal, intimando di saldare le fatture scadute (oltre 5 milioni di euro) entro venerdì. Ma i bonifici non sono mai partiti. La Regione Puglia potrebbe “pagare le fatture al posto di Mittal” così “subentreremmo come creditori dell’Ilva”, è l’ipotesi di Emiliano.
I sindacati al Quirinale – Il consiglio di fabbrica, intanto, si è riunito per decidere quale forma di mobilitazione intraprendere nei prossimi giorni per richiamare azienda e governo ai propri impegni. Si fa strada l’ipotesi di una manifestazione degli operai a Roma, senza escludere la possibilità di uno “sciopero al contrario” con gli impianti presidiati e la volontà di “disubbidire” ad ArcelorMittal non rispettando il cronoprogramma per lo spegnimento. La voce dei lavoratori arriverà nella Capitale già in giornata attraverso i tre leader di Cgil, Cisl e Uil che saranno ricevuti dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, al Quirinale per un incontro sulla vertenza Ilva e in generale delle crisi industriali. Per il presidente l’Ilva è un grande problema nazionale che va risolto con tutto l’impegno e la determinazione, non solo per le implicazioni importantissime sul piano occupazionale ma anche – ha detto ai sindacati – per quanto riguarda il sistema industriale italiano. Il capo dello Stato non è entrato in nessun modo sul come risolvere la crisi dato che spetta al governo. La richiesta di incontro è venuta dai sindacati, che hanno chiesto di vedere il Presidente e Mattarella, nel corso dell’incontro, avrebbe soprattutto ascoltato.
Il fronte governativo – L’esecutivo, invece, riflette sulle prossime mosse. “Siamo compatti e tutto dovrà essere definito entro giovedì, quando si riunirà il Consiglio dei ministri”, ha confidato un autorevole fonte di governo a Ilfattoquotidiano.it. Una frase che lascia intendere come i contatti informali tra Conte e i Mittal non si siano mai interrotti e potrebbero portare a un nuovo faccia a faccia nei prossimi giorni. Il filo però è sottilissimo e può spezzarsi in qualsiasi momento. Come ha spiegato l’amministratore delegato Lucia Morselli ai sindacati nel vertice al Mise di venerdì, l’azienda (definita “salvatrice della Patria”) ritiene necessaria l’introduzione di un nuovo scudo penale perché produrre nell’area a caldo di Taranto ad oggi è “criminale”. E in ogni caso, pur ristabilite le tutele legali, resterebbe il nodo esuberi e un accordo dovrebbe essere trovato in tempi rapidissimi, visto che ArcelorMittal continua a insistere sulla data del 4 dicembre come ultimo giorno di gestione delle acciaierie.
Il ministro Boccia: “Piano B? Prestito ponte” – Per questo si ragiona su un piano B. Per il ministro degli Affari Regionali Francesco Boccia “non c’è alternativa”: in caso di addio dei franco-indiani sarà l’amministrazione straordinaria “con un prestito ponte” a riportare “nel giro di uno o due anni” l’azienda sul mercato. “Segnalo a Mittal che mi pare fin troppo evidente che molte cose non tornano, a partire dall’alimentazione dall’altoforno, fino alle perdite – ha aggiunto – Mi chiedo come abbia fatto Mittal a perdere più dei commissari, che sono persone competenti ma non sono dei manager”. Poi ha attaccato: “Se un’azienda media italiana avesse fatto quello che ha fatto Mittal, i proprietari sarebbero già stati portati via alle sei del mattino da qualche giorno… “.