Hanno fatto “i compiti” che ha chiesto loro Luigi Di Maio, ma non è bastato per sbloccare la situazione. I parlamentari e consiglieri 5 stelle in Emilia-Romagna si sono presentati oggi davanti al capo politico per l’ennesimo incontro in vista delle Regionali del 26 gennaio: hanno consegnato il report con le attività fatte in Regione e una lista di possibili candidati “forti”. Il leader ha ringraziato e ha detto che si prenderà ancora del tempo per riflettere, ovvero non è convinto: ci sono troppi rischi, dai sondaggi che li danno al 5 per cento agli effetti sul governo se vincesse la Lega. Per non parlare della botta per lo stesso Di Maio. Di fronte però, raccontano fonti interne M5s a ilfattoquotidiano.it, il leader si è trovato un gruppo compatto di portavoce sul territorio che sul punto non intendono fare passi indietro: non vogliono sentire ragioni e neppure il capo politico li spaventa più. “Si può chiedere”, è lo sfogo, “di ritirare una lista che esiste da 10 anni? Noi in Emilia-Romagna ci siamo nati, come lo spieghiamo agli attivisti? Vorrebbe dire rinnegare la nostra storia”. Insomma il processo non è così tranquillo e condiviso come cercano di far passare da Roma: la tensione non era mai stata così alta e la percezione è che su questa decisione si giocherà il futuro del Movimento 5 stelle. Sul territorio e non solo. “Forse Di Maio non lo ha capito”, aggiungono ancora le fonti, “ma il rischio è che ci siano le dimissioni di massa dei nostri portavoce”.
Per il ministro degli Esteri M5s il momento è molto delicato: la sua leadership è messa in discussione dallo stesso gruppo parlamentare e, forse per la prima volta davvero, rischia di prendere decisioni senza essere ascoltato. Anche per questo sta organizzando incontri e vedendo a più riprese i parlamentari. Dalla sua parte ha Max Bugani, capo staff di Virginia Raggi e ancora consigliere comunale a Bologna, nonché uno dei referenti più importanti del Movimento a Bologna e dintorni. La linea di Di Maio l’ha spiegata lo stesso Bugani in un’intervista a Piazza pulita del 9 novembre scorso: “E’ meglio non presentarsi”, ha detto. “E’ una questione di serietà”. Proprio quel richiamo alla “serietà” ha irritato attivisti e portavoce logorando rapporti e relazioni dentro il Movimento. Addirittura spingendo esponenti storici del Movimento in Emilia Romagna come Nik il Nero e Matteo Incerti, entrambi da due legislature nello staff comunicazione, a schierarsi con il territorio e contro lo stesso Bugani, chiedendo “rispetto per gli attivisti”. In contemporanea il deputato reggiano Davide Zanichelli aveva chiesto ufficialmente che partisse la selezione dei candidati sulla piattaforma Rousseau perché “non si perdesse altro tempo”. Insomma una vera e propria rivolta che per la prima volta ha riguardato un fedelissimo di Di Maio, nonché uomo di fiducia di Beppe Grillo e Davide Casaleggio.
A preoccupare Di Maio c’è anche il fatto che, a differenza del passato, i portavoce sul territorio non temono di esporsi con nome e cognome. Solo il 30 ottobre scorso, ad esempio, è stata diffusa una nota del gruppo parlamentare dell’Emilia Romagna che insisteva sulla necessità di candidarsi per la Regione. Le firme in calce rivelano il livello di tensione. Comparivano infatti parlamentari al primo giro a Roma come Stefania Ascari, Alessandra Carbonaro, Marco Croatti, Gabriele Lanzi, Carlo De Girolamo, Maria Laura Mantovani e Davide Zanichelli. Ma anche alcuni big al secondo mandato che hanno molta influenza sul Movimento anche a livello nazionale: non c’erano solo Michela Montevecchi e Giulia Sarti, ma anche il sottosegretario alla Giustizia Vittorio Ferraresi e la deputata ritenuta da sempre molto vicina a Di Maio Maria Edera Spadoni. Proprio quest’ultima, intervistata il 16 ottobre dal Corriere di Bologna, aveva riferito di uno dei tanti incontri avuti con il capo politico prima delle elezioni in Umbria: “Abbiamo stabilito alcuni punti fissi. Il primo è che ci presenteremo alle Regionali, il secondo è che possiamo eventualmente valutare qualcosa con il Pd, ma poniamo un veto sulla candidatura di Bonaccini”.
In attesa che la situazione si sblocchi a livello nazionale, i gruppi locali (quelli che un tempo il Movimento chiamava Meetup) continuano a incontrarsi e a ribadire compatti lo stesso messaggio: “Correremo alle prossime elezioni Regionali“. Addirittura c’è chi sta già facendo partire i tavoli per scrivere il programma elettorale, rivelando una totale schizofrenia tra quello che succede a Roma e quanto effettivamente sta avvenendo sul territorio. Una spia di come quella famosa riorganizzazione che Di Maio predica ormai da mesi sia non solo lentissima, ma ormai molto difficile da realizzare. Tanto per citare alcuni incontri, il 10 novembre scorso la consigliera regionale Silvia Piccini ha incontrato gli attivisti a Zola Predosa (Bologna) e al termine ha scritto su Facebook un comunicato durissimo per chi pensa di non correre alle prossime Regionali: “Affollatissima assemblea composta da un centinaio tra consiglieri comunali e attivisti di Bologna e provincia”, è stato l’esordio. “Unanime la volontà di presentarsi alle prossime elezioni Regionali, per continuare il grande lavoro fatto in questi 5 anni, e portare avanti le battaglie del Movimento 5 stelle all’interno delle istituzioni”. Piccini si è anche scagliata contro chi da Roma vuole decidere per il territorio: “Invito chi, dai comodi salotti romani, pensa che sia una buona idea quella di cancellare con un colpo di spugna anni di storia, di fatiche, e di impegno da parte di un’intero gruppo di persone che ha sacrificato parte del proprio tempo per inseguire questo sogno, ad astenersi dal continuare a mortificare una comunità che al Movimento 5 stelle ha dato tanto, permettendo anche a chi oggi pontifica avendo abbandonato o non conoscendo per nulla il territorio, proprio di stare seduto dove sta”. Nello stesso weekend in Romagna appunto, sono partiti i tavoli di lavoro per “la redazione del programma elettorale regionale del Movimento 5 stelle“. Della serie che, se non fosse abbastanza chiaro, il territorio va avanti nonostante le perplessità di Di Maio. E questa volta c’è il rischio che non si accontentino di un ordine arrivato dall’alto.