Per gli ambientalisti la tassa è “una sferzata necessaria per arginare il problema dell’inquinamento da plastiche”, che – sottolineano Ciafani e Favoino – “ha ripercussioni già sull’oggi, non solo sul domani”. “Ogni anno in mare finiscono tra gli 8 e i 12 milioni di tonnellate di plastica. Pari a un camion al minuto – ricorda Favoino – Un accumulo continuo che ci ha portati a un totale di 140 milioni di tonnellate”. L’imposta, secondo il presidente di Legambiente, non va depotenziata, anzi: “Nella forma attuale colpirebbe solo 2 milioni di tonnellate di plastica (quella usata per gli imballaggi), sui 6 milioni di tonnellate prodotti in Italia ogni anno. Andrebbe estesa agli altri 4 milioni di tonnellate utilizzati in edilizia, nell’automotive o per realizzare elettrodomestici”. Inoltre, ipotizza Favoino, “se si andasse a tassare la plastica all’origine, applicando l’imposta nella fase della consegna del polimero vergine a chi lo trasforma in imballaggio, i produttori indirizzerebbero le proprie scelte verso forme di progettazione che privilegiano altri materiali, come il polimero riciclato, o semplicemente diminuirebbero il consumo, riducendo il peso dell’imballo. Il costo quindi non ricadrebbe sul cittadino, o sarebbe molto più basso”. In compenso per l’associazione ambientalista le esenzioni già previste per materiali compostabili o i prodotti usa e getta come le siringhe andrebbero estese anche “agli stabilimenti che producono oggetti in plastica riciclata”, attualmente invece inclusi tra i soggetti tassabili. E già lo prevede un emendamento del Pd presentato in commissione Bilancio.

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