L’affaire della casa che l’ex ministra della Difesa Elisabetta Trenta non vuole lasciare diventa un caso giudiziario. La Procura militare di Roma ha aperto un fascicolo a modello 45, senza indagati né ipotesi di reato, dopo le notizie di stampa sull’appartamento di servizio che ha mantenuto anche al termine del suo incarico dopo la riassegnazione dell’alloggio al marito che è un militare. Al momento, spiegano fonti della Procura Militare, si tratta di un’indagine meramente conoscitiva per compiere i dovuti accertamenti sul caso. Il procuratore, Antonio Sabino, con l’Ansa sottolinea che si è trattato di un “atto dovuto”. “Faremo tutti gli accertamenti del caso – ha spiegato il procuratore – per sgomberare ogni dubbio, anche da un punto di vista amministrativo”. Al momento si tratta di una indagine, ha ribadito, di puro carattere conoscitivo. In una intervista a Radio Capital la Trenta ha spiegato di pagare 540 euro al mese.

L’ex ministra, in quota M5s, ha spiegato in una intervista che non c’è nulla di irregolare. “Ormai la casa è stata assegnata a mio marito e in maniera regolare. Per quale motivo dovrebbe lasciarla? Non è un privilegio. La pago e la pago pure abbastanza”. La casa della Difesa in zona San Giovanni in Laterano, a Roma, ‘ricevuta’ come appartamento “di servizio” quando era nel governo resterà quindi nella sua disponibilità. Anche perché, spiega al Corriere della Sera che ha sollevato il caso, “anche adesso continuo ad avere una vita diversa”. Una vita “di relazioni, di incontri”. Insomma, continua ad essere necessaria come quando era nell’esecutivo: “Un ministro nella sua attività ha necessità di parlare con le persone in maniera riservata e dunque ha bisogno di un posto sicuro”. E “grande”, aggiunge.

Non è bastata la levata di scudi contro di lei, anche all’interno del Movimento Cinque Stelle con richieste di chiarimenti da parte di Luigi Di Maio, secondo cui deve lasciare l’alloggio, e il giudizio del vice-ministro Stefano Buffagni, che ha parlato di comportamento “non da M5s”. Lunedì matttina il leader pentastellato è tornato sull’argomento in collegamento a Rtl: “Questa cosa dal mio punto di vista non è accettabile, ha smesso di fare la ministra due mesi fa, ha avuto il tempo per lasciare la casa, è bene che ora la lasci e se il marito in quanto militare ha diritto ad un alloggio può fare domanda e lo otterrà. Questa cosa fa arrabbiare i cittadini e anche noi perché siamo quelli che si tagliano gli stipendi”.

La casa, come raccontato dal Corriere della Sera, è stata richiesta dalla ministra nonostante ne abbia una sua a Roma. Un ostacolo aggirato con l’assegnazione al marito, maggiore dell’Esercito. Trenta si è difesa parlando di due iter di assegnazione: la prima a lei in qualità di ministra e in seguito al marito. “Non ho chiesto subito l’alloggio pur avendone diritto, ma soltanto nell’aprile scorso. Ho resistito il più possibile nel mio. Un ministro durante la sua attività ha necessità di parlare con le persone in maniera riservata e dunque ha bisogno di un posto sicuro”. E nel suo appartamento al Pigneto c’erano “problemi di controllo e sicurezza” perché in quella zona “si spaccia droga e la strada non ha vie d’uscita”. In ogni caso, aggiunge, “avevo bisogno di un posto dove incontrare le persone, di un alloggio grande”. Insomma: “Era necessaria riservatezza”.

Tutti elementi che non sono terminati con la fine del suo incarico: “Anche adesso continuo ad avere una vita diversa. È una vita di relazioni, incontri”. E ribadisce che se al marito fosse stato assegnato un altro alloggio, il trasloco sarebbe stato a carico dello Stato che invece così ha risparmiato. La realtà, aggiunge, è un’altra: “È evidente che sono sotto attacco. Da parte di chi? Non lo so. È un attacco al presidente Conte? All’Aise, al Movimento? Alla Link Campus, dove sono tornata a lavorare?”. Di certo, assicura, “questa storia mi porterà dei danni” e “rimarrò nel Movimento”, del quale ha chiesto di essere una dei 12 facilitatori.

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