di Enzo Marzo
Erano anni che aspettavamo un messaggio di speranza, anche minimo, cui aggrapparci. Ogni giorno chi è costretto a leggere i giornali e consultare Internet subisce una insostenibile razione di conferme della situazione tragica del nostro paese. Ormai siamo nelle mani di demagoghi sfacciati, di mentitori seriali e compulsivi, di dilettanti ignorantissimi che non sanno di che parlano, di irresponsabili che giocano con le parole sull’orlo del baratro, di sfacciati truffatori che smentiscono quello che hanno affermato o deciso il giorno prima, di chi impunemente può affermare di volere i “pieni poteri”.
Ma tutto ciò sarebbe poco o nulla, e si potrebbe spazzare se non fosse immerso in un enorme calderone (insieme causa ed effetto) di ignoranza e di demagogia a cui si è ridotto il dibattito pubblico in Italia. C’è davvero di che avvilirsi. Perché, se non muta radicalmente il modo di fare politica e di comunicarla, non c’è alcuna speranza che possa cambiare la Politica. Senza la Politica un paese va in rovina inesorabilmente. Ma si può andare controcorrente? Certo che si può.
Noi liberali lillipuziani da sempre proviamo ribrezzo quando la televisione di governo (più che di Stato) vomita menzogne su menzogne; quando per avere certe notizie o vedere certi filmati in cui certi politici ridicolizzano se stessi occorre seguire uno spettacolo di satira; quando non si trova un giornalista che abbia il coraggio di rivolgere una semplice domanda al mentitore di turno contestandogli coi fatti una sua dichiarazione contraddittoria o una sua sfrontata asserzione falsa o una mancata risposta; quando sembra impossibile trovare un conduttore che non aizzi la rissa o inviti in continuazione chi è professionista dell’invettiva.
Ormai il dibattito pubblico è invaso da fedeli servitori dei vari cerchi magici o dal Vittorio il Furioso o dal Vittorio lo Scurrile. Tutti dediti a smuovere la melma che giace nel fondo delle pance.
Tutto ciò dimostra che siamo passati dalla già deprecabile “società dello spettacolo” alla sua degenerazione ultima: “la società dell’urlo” sguaiato. Ovvero a una società sempre più violenta. Lo sappiamo bene che “il popolo” è affamato di grandi sciocchezze gridate. E una “bestia” la trova sempre. Per averne tragiche prove basta rivedere un qualunque filmato con Hitler o Mussolini vomitanti slogan gridati a un “popolo” osannante… Ne prendiamo atto.
Ma, in questa fase in cui gli “statisti nuovisti” si sentono in dovere di comunicare al “popolo” la loro prima reazione immediata – e quasi sempre idiota – a qualunque avvenimento di giornata, oppure se vanno al bagno o quale cioccolata consumano la mattina, una qualche resistenza nonviolenta bisogna opporla. Ciò che è avvenuto a Bologna è un piccolo-enorme segnale che si può andare controcorrente.
Ha vinto esclusivamente la forza di un simbolo che dimostra che questi quattro giovani hanno creatività da vendere: la sardina. Cioè un pesce muto, che non grida come gli urlatori del web e dei comizi, ma che sta in banco. La scelta del simbolo è straordinaria perché è controcorrente rispetto alla vulgata che giura che strillare fa bene alla politica. La sardina è un simbolo virtuosamente “reazionario”, nel senso che costituisce una reazione nonviolenta di quanti vogliono reagire al nuovismo che di nuovo ha solo gli strumenti, ma che ricicla comportamenti già usurati dai democristiani dell’altro secolo o argomenti già consolidati dalla propaganda dei vari fascismi.
È una reazione all’urlo vuoto che vuole riportarci ai valori del “villaggio”, alla demagogia prêt-à-porter, alla rincorsa da mane a sera dei voti col qualunquismo più sfacciato, alla quotidiana presa per i fondelli dei cittadini visti esclusivamente come elettori da ingannare con false promesse. Forse col suo mutismo fattivo la “sardina” dà voce agli arcistufi di questo declino.
A chi mostra di aver capito quale inganno comunicazionale (intrecciato al cinismo più qualunquista) abbia addormentato la cittadinanza. Agli arcistufi che vogliono tornare dal “popolo” ai “cittadini”. A chi vuole un serio dibattito pubblico, partiti che non si reggano sul principio privatistico ed ereditario, dove uno vale tutti. Oppure partiti che non si fondano sulla “cultura dell’illegalità”, dei “pieni poteri” voluti in nome dell’alleanza tra il bunga bunga e il mojito. Partiti che abbiano il coraggio di confrontarsi su mozioni contrapposte e votate da persone fisiche e non nel tinello dell’erede al trono o in gazebi aperti a tutti i passanti.
Due metodi super-democratici intrisi di demagogia, che hanno in comune l’assenza di un controllo di qualunque genere. Ne siamo arcistufi. Precipitata nel medioevo politico, la “sardina” vuole tornare alla modernità. Semplicemente. Almeno lo speriamo. Se si esagera, persino gli italiani scendono in piazza. E negli ultimi anni in Italia si è davvero esagerato. Però le sardine devono tramutarsi geneticamente e cominciare a parlare. Non devono essere “maggioranza silenziosa”. Le “maggioranze silenziose” di regola si fanno gestire e strumentalizzare dalle forze politiche più reazionarie.
Se non vogliono essere fritte nella padella del Nazareno ed essere protagoniste solo di una delle sue ultime cene, le sardine devono prendere le distanze da tutti, essere severissimi critici della mediocrità e della demagogia, affermare che i valori della Politica, della Legalità, delle Regole costituzionali non possono essere soltanto proclamati, ma anche essere vissuti con coerenza. Che la democrazia oggi sia in pericolo serio lo si può dire anche senza urlare. Ma con fermezza.
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