Le accuse dei commissari di voler “distruggere” la siderurgia italiana, il contenuto del loro ricorso presentato a Milano e l’esposto consegnato a Taranto che smuovono le procure, il lavorìo sotto traccia del governo, la soluzione invocata dal Quirinale e l’alt dei sindacati pronti a disertare l’incontro di venerdì. Così dopo essere andata all’attacco per quindici giorni, ArcelorMittal rallenta: forse fa marcia indietro, di certo cambia toni. E sembra aprirsi uno “spiraglio”, come lo chiama la leader della Cisl Annamaria Furlan, per una trattativa vera che eviti la riconsegna delle chiavi degli stabilimenti di Ilva il prossimo 4 dicembre.

Il messaggio di Mattarella: “Soluzione di primaria importanza”
Una soluzione di “primaria importanza per l’economia e il lavoro italiani”, secondo il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che ha espresso “solidarietà e vicinanza a Taranto, investita, in questi giorni, da una grave questione”. A guadagnarci è in primis il governo, che arriverà all’incontro con Lakshmi Mittal e suo figlio Aditya con qualche carta in più da giocarsi per evitare la fuga della multinazionale dell’acciaio. Venerdì il premier Giuseppe Conte vedrà i proprietari di ArcelorMittal con lo spegnimento degli altoforni di Taranto evitato dall’invito del presidente del Tribunale civile di Milano, accolto dall’azienda, a non rallentarne la marcia in vista del 10 dicembre, data che era stata indicata come la più probabile per la chiusura della prima fornace.

Fatture scadute e ripresa ordini: i (primi) segnali di Mittal
Non l’unica segno distensivo in vista dell’appuntamento. L’azienda ha comunicato lunedì sera ai sindacati di aver anche ripreso gli ordini e martedì ha annunciato in un incontro con i delegati di Fiom, Uilm e Fim di aver “iniziato a saldare le spettanze” alle ditte dell’appalto, da due giorni in presidio davanti alle portinerie per chiedere il pagamento di oltre 5 milioni di euro di fatture scadute. Una promessa finora fatta più volte e disattesa. Le aperture sono state accolte con favore dalle parti sociali, che non si sono lasciate ammaliare e hanno risposto picche alla richiesta di incontro con i vertici, fissato per venerdì, che avrebbe avuto come argomento sul tavolo la procedura prevista per i trasferimenti di ramo di azienda (ex art. 47) ed avviata dopo la decisione di chiedere il recesso dal contratto di affitto con obbligo di acquisto delle società del gruppo Ilva.

La barra dritta di sindacati e commissari
I metalmeccanici di Cgil, Cisl e Uil ribadiscono di non riconoscere alla multinazionale dell’acciaio un diritto di recesso, quindi neanche la procedura stessa, ritengono il vertice “superfluo” e chiedono un incontro alla presenza del governo che sia sulle prospettive per proseguire con la gestione di ArcelorMittal. In una lettera inviata ad ArcelorMittal in risposta alla convocazione all’incontro sulla procedura ex art. 47, i commissari sono tornati ad avvertire: “Per quanto attiene al personale dipendente ed alle tutele ad esso dovute nella gestione dei rapporti di lavoro dei quali avete l’esclusiva titolarità, vi riteniamo responsabili di ogni condotta finalizzata a dismettere tali responsabilità nel vano tentativo di abdicare alla posizione di datore di lavoro per liberarvi degli obblighi e doveri che ne conseguono”.

L’incontro Gualtieri-Morselli
L’esecutivo, invece, sembra si muova sotto traccia: il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri avrebbe incontrato l’amministratore delegato Lucia Morselli nel corso dello scorso week end. E l’ad di ArcelorMittal, a quanto apprende l’Ansa, avrebbe dato segnali di disponibilità per tornare indietro. Nei giorni successivi sono arrivate le durissime parole dei commissari di Ilva, pronti a puntare il dito su un “disegno illecito” per “cancellare” un “concorrente” dal mercato europeo dell’acciaio, e il doppio blitz della Finanza tra Taranto e Milano ordinato dalle procure che ipotizzano reati gravissimi nelle loro inchieste, al momento senza indagati.

Trattativa e piano B: la corsa contro il tempo
ArcelorMittal tace in via ufficiale e attende la pronuncia della sezione imprese del Tribunale di Milano sul ricorso d’urgenza che arriverà entro il 4 dicembre, data in cui la multinazionale avrebbe voluto riconsegnare gli impianti all’amministrazione straordinaria. Quindici giorni: è in questo spazio che il governo dovrà sbrogliare la matassa cercando di aprire e chiudere, positivamente, una trattativa. Difficile, ma meno impossibile di due settimane fa quando si è aperta la partita o degli scorsi giorni quando Morselli parlava – davanti al ministro dello Sviluppo Economico – di “prese in giro” a dei “salvatori della patria”. Cosa proporrà Conte per scongiurare la riconsegna e smontare – o almeno affievolire – la richiesta di 5mila esuberi non è noto. Ma almeno, ora, sembra esserci il tempo per provarci o comunque per trovare un piano B.

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