Almeno 106 persone sono state uccise nelle manifestazioni degli ultimi giorni in Iran, dove manifestanti si scontrano da quattro giorni con le forze di polizia per protestare contro l’aumento del prezzo della benzina. Lo denuncia Amnesty International, che afferma di essere arrivata a questa conclusione attraverso “video verificati, testimoni oculari e informazioni raccolte da attivisti fuori dall’Iran”, che mettono in luce una serie di “uccisioni illegali da parte delle forze di sicurezza iraniane”. L’organizzazione aggiunge che “il vero bilancio potrebbe essere ben più elevato, con alcune informazioni che suggeriscono che ci sono fino a 200 morti”.
“Le autorità devono porre fine immediatamente a questa repressione brutale”, ha dichiarato il direttore di ricerche di Amnesty International per la regione Medioriente e Nord Africa, Philip Luther. Secondo l’organizzazione, le forze di sicurezza “hanno ricevuto il via libera per schiacciare” le manifestazioni, che sono cominciate venerdì scorso dopo l’annuncio a sorpresa da parte del governo di un aumento del prezzo del carburante. La ong riferisce che nei filmati si vedono “cecchini sui tetti degli edifici che sparano sulla folla e, in un caso, un elicottero”.
“Mentre la maggior parte delle manifestazioni è sembrata pacifica, in alcuni casi, man mano che la repressione si accentuava, un piccolo numero di manifestanti ha lanciato pietre, provocato incendi e danneggiato delle banche”, prosegue Amnesty, invitando le autorità a “rimuovere il blocco quasi totale di internet“, che secondo l’organizzazione è stato “imposto per impedire che le informazioni sulla repressione filtrino verso il mondo esterno”. Secondo le informazioni pubblicate sui media iraniani, solo cinque decessi sono stati confermati ufficialmente, fra cui quelli di tre agenti delle forze dell’ordine.
In giornata Radio Farda, vicina all’opposizione, aveva riferito della morte di almeno 90 persone basandosi su dati forniti da organizzazioni in difesa dei diritti umani e da notizie riportate sui media. Da Londra l’attivista Karim Dehimi ha detto all’emittente che almeno 20 persone sono state uccise nella città di Mahshahr. Citando attivisti locali, la stessa emittente parla di un ingente numero di vittime nella provincia occidentale del Kurdistan e in quella sudoccidentale del Khuzestan. Diversi attivisti affermano che le forze di sicurezza hanno aperto il fuoco sui dimostranti e, citando fonti anonime del ministero degli Interni, parlano addirittura di 200 morti e tremila feriti.
Una situazione che ha portato l’Alto commissariato dell’Onu per i diritti umani a dirsi “particolarmente allarmato dal fatto che l’uso di proiettili veri” da parte delle forze di sicurezza contro i manifestanti “avrebbe provocato un numero significativo di morti”, ha dichiarato il portavoce dell’organizzazione, Rupert Colville. Il governo, da parte sua, non ha diffuso bilanci ufficiali, ma punta il dito contro Washington. Le manifestazioni sono cominciate come una “legittima protesta”, ma le violenze che ne sono seguite sono state “fomentate dagli Usa“, e “quando la protesta diventa violenta le forze dell’ordine devono intervenire”, ha detto oggi l’ambasciatore iraniano a Roma, Hamid Bayat, aggiungendo che ora “la situazione sta tornando alla calma”. Ora i leader della protesta, riporta il quotidiano conservatore Kayhan, rischiano l’impiccagione. L’accusa: rivolta armata contro le autorità e i principi del sistema della Repubblica islamica.
Il 17 novembre la Casa Bianca aveva condannato “la forza letale e le rigide restrizioni alle comunicazioni” usate in Iran contro i manifestanti: “Gli Stati Uniti sostengono il popolo iraniano nelle proteste pacifiche contro il regime”. Teheran, proseguiva la nota, “ha perseguito la strada delle armi nucleari e dei programmi missilistici e sostenuto il terrorismo, trasformando il paese in un altro esempio di quello che accade quando la classe al potere abbandona la sua gente e abbraccia una crociata per il potere personale e la ricchezza”.
Quanto all’aumento dei prezzi della benzina (+50% fino a 60 litri al mese e +300% oltre quella soglia) a causa della riduzione delle sovvenzioni pagate dallo Stato, l’ambasciatore iraniano ha affermato che le autorità iraniane sono state costrette a questo passo. “Fino ad ora – ha sottolineato Bayat – la benzina costava meno di 10 centesimi di euro al litro e così le famiglie che hanno due o tre macchine beneficiavano notevolmente delle sovvenzioni, mentre i poveri erano penalizzati dallo spreco di denaro pubblico. Ora quello che verrà risparmiato con il taglio delle sovvenzioni, potrà essere utilizzato appunto per aiutare i meno abbienti. Inoltre ciò permetterà di combattere l’esportazione illegale di carburante, che viene contrabbandato verso i Paesi vicini con le prospettive di forti guadagni”. Da molto tempo, ha detto ancora l’ambasciatore, si era deciso che per questi motivi il prezzo della benzina dovesse essere aumentato del 10-20 per cento all’anno, “ma poi il Parlamento ha bloccato questo intervento per cinque anni, e quindi ora si è reso necessario questo aumento, deciso all’unanimità dai tre rami istituzionali”.
Per frenare le proteste, l’esecutivo di Hassan Rohani ha anticipato i sussidi previsti per 60 milioni di persone, derivanti proprio dagli aumenti del prezzo del carburante: 20 milioni avrebbero ricevuto gli aiuti già la scorsa stanotte, altri 40 milioni dovrebbero farlo entro sabato. Ma il clima nel Paese resta teso. Lunedì la polizia in assetto antisommossa ha disperso oggi gruppi di dimostranti in diverse zone di Teheran, sparando lacrimogeni e gas urticanti al peperoncino. Manifestazioni si sono tenute anche in altre città, tra cui Karaj, Shiraz, Sanandaj, Isfahan e Kermanshah. In diversi centri, scuole e università resteranno chiuse fino a mercoledì.
Nel frattempo è tornata sotto i riflettori anche la pesante influenza iraniana sul vicino Iraq. Secondo un’inchiesta pubblicata da New York Times e Intercept, frutto di centinaia di pagine di presunti documenti di intelligence della Repubblica islamica filtrati ai media da fonti anonime, emergono tentativi di controllare gli 007 di Baghdad, anche pagando agenti in precedenza al servizio degli Usa.