È la novità che emerge dai dati sull’azione della task-force dei carabinieri, messa in campo negli ultimi 2 anni dal Nas (Nucleo antisofisticazione per la tutela della salute) e dal Nil (Nucleo ispettorato del lavoro): oltre 28mila aziende controllate e 5mila denunce in materia di sicurezza. Fino a ottobre 2019 i carabinieri hanno controllato la posizione di 96.398 lavoratori, di cui 16.909 (circa il 15%) è risultato essere in nero e 15.340 irregolari: quasi il 30% del totale
Facchini, trasportatori e, da qualche tempo, rider. Il settore terziario, con il suo 28% di irregolarità emerse fra il 2018 e il 2019, si scopre nuovo incubatore di lavoro nero e caporalato, sorpassando l’industria e ponendosi subito dopo l’agricoltura. Con un macrogruppo, quello della logistica, dove lo sfruttamento è sempre più impattante. È la grande novità che emerge dai dati sull’azione della task-force dei carabinieri delle Unità specializzate e delle stazioni territoriali, messa in campo negli ultimi 2 anni grazie agli sforzi comuni dei Nas (Nucleo antisofisticazione per la tutela della salute), guidato dal generale Adelmo Lusi, e dei Nil (Nucleo ispettorato del lavoro), agli ordini del generale di brigata Gerardo Iorio.
Oltre 28mila aziende controllate e 5mila denunce in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro negli ultimi due anni, per un’evasione fiscale che ammonta ad oltre 30 milioni di euro. Fino a ottobre 2019 i carabinieri hanno controllato la posizione di ben 96.398 lavoratori, di cui 16.909 (circa il 15%) è risultato essere in nero e 15.340 irregolari. Insomma, quasi il 30% sommando questi due dati. E non è tutto. Sulle 28.707 aziende controllate, è emersa la necessità di denunciare ben 10.597 persone, la metà per violazioni in materia di sicurezza sul lavoro (e il 7% circa per caporalato).
L’avanzata del caporalato nel terziario – I numeri, dopo l’entrata in vigore della legge 199 del 2016, hanno visto ovviamente schizzare in alto le segnalazioni relative al settore dell’agricoltura, che occupa il 51% delle storie raccolte in questi mesi dall’Arma. Ed è anche l’ambito in cui i militari si sono maggiormente concentrati nella loro ricerca. L’altro fenomeno, come detto, riguarda il cosiddetto terziario, che si attesta al 28%. “Si parla soprattutto di logistica – spiega il tenente colonnello Luca Stegagnini, del Nucleo ispettorato del lavoro – ovvero lo spostamento e il trasporto di cose e merci. I rider rappresentano solo l’ultimo dei fenomeni che ha contribuito a rimpolpare questa voce. Ci sono quelli che chiameremmo “facchini”, che lavorano ai mercati generali o vengono assoldati per fare traslochi, occuparsi dei magazzini e spostare merci. Poi ci sono i trasportatori, che sono maggiormente soggetti a controlli e su cui ci sono margini minori”.
Altra fetta molto attrattiva per i datori di lavoro in nero è quello del turismo. In senso lato, perché all’interno va compresa anche la ristorazione. “Sono specialmente i camerieri – spiega ancora l’ufficiale – che con la scusa delle mance e dell’impiego occasionale, vanno in gran parte in nero. Diverso per i cuochi, sui quali spesso si fidelizza il locale e che devono rispettare normative più stringenti”. Poi il personale d’albergo, le pulizie e perfino le guide turistiche, che avrebbero bisogno di aver passato un esame di Stato per esercitare e che in molti casi lavorano alla buona. “Ma qui difficilmente possiamo parlare di caporalato”, aggiunte il tenente colonnello Leonardo De Paola, in quanto “la paga è in linea, non ci sono forti situazioni di indigenza, ma il lavoro è comunque sommerso”.
Italiani sfruttati e il reddito di cittadinanza – L’ultima frontiera del lavoro nero è quella che vede la combinazione con il reddito di cittadinanza. “Che in realtà già si verificava in precedenza con la cassa integrazione”, sottolineano dall’Arma. Da maggio a ottobre 2019 sono stati trovati 85 casi di persone che lavoravano in nero, anche sottopagate, per “arrotondare” il reddito di cittadinanza. E non è un caso che l’analisi delle nazionalità fra il 2018 e il 2019 veda una crescita dei rilievi riguardanti gli italiani: se nel primo anno preso in analisi la classifica dei paesi di origine dei lavoratori sottoposto a sfruttamento lavorativo vedeva in testa la Romania e l’Italia solo al 5° posto, ecco che nel 2019 l’Italia è salita in terza posizione, dopo Pakistan e, appunto, Romania: in totale nei quasi 2 anni di verifiche, sono state trovati 344 italiani vittime di sfruttamento.
Per quanto riguarda la distribuzione geografica, all’apparenza il triste primato resta al sud Italia, dove si sono verificate il 47,5% delle irregolarità emerse dalle indagini dei Carabinieri, contro il 21% del Centro, il 19% del Nord ovest e il 12,5% del Nord est. Un dato che però non deve ingannare. I controlli effettuati al Sud sono stati circa il doppio rispetto a quelli delle altre aree geografiche e le irregolarità hanno rispettato questa proporzione, mentre in tutto il settentrione (nord ovest e nord est insieme) la percentuale di violazioni sale oltre il 30%.