Cara Silvia,
oggi, 20 novembre 2019, l’Italia si ricorderà di te. Fiumi d’inchiostro e poi chissà. Al di là di qualche ostinato collega, questo anno poco si è saputo e scritto di te. Forse il silenzio aiuta le indagini? Forse. O forse favorisce l’oblio e con esso i rapitori.
Dicono tu sia in Somalia, ora. In mano a estremisti vicini agli shebaab. È di oggi la notizia del mandato d’arresto da parte delle autorità somale contro una ventina di loro. Tutti ci auguriamo che sia il preludio alla tua liberazione. In questo anno, poche notizie, alcune contraddittorie e irrispettose. Come spesso accade, la ricerca della verità rimesta nel torbido e a volte vi si confonde. Difficile dire fino a dove si spinge la volontà di fare chiarezza e dove invece inizino veri e propri depistaggi. Se si sia mantenuto il riserbo per agevolare le indagini o per insabbiarle.
Di certo, c’è chi non demorde. Poco fa, ad esempio, Focus on Africa (diretto da Antonella Napoli) ha pubblicato dettagli finora riservati, con l’intento di fornire un contributo alla ricerca della verità e a poterti riportare finalmente a casa.
Ma tu, tu come starai, Silvia? Mi auguro che il tuo splendido sorriso esca rafforzato da questa tragica vicenda. Tu sei il volto dell’Italia migliore. Tu e i tanti giovani silenziosi di cui sappiamo e parliamo troppo poco, che si mettono in gioco, che scelgono da che parte stare, che partono zaino in spalla, pieno di sogni e magari (perché no?) anche dell’ingenuità della loro età, decisi a non rassegnarsi al logorio dell’odio nostrano. Ma l’odio non ha frontiere e te lo sei trovato davanti anche in Kenya, purtroppo, e nella sua manifestazione più truce.
Insieme a te, oggi, voglio ricordare gli altri italiani di cui da mesi non abbiamo più notizie: penso a Luca Tacchetto, sparito nel nulla con la compagna canadese Edith Blais lo scorso dicembre, mentre insieme attraversavano il Burkina Faso per raggiungere in auto il Togo, dove avrebbero dovuto prestare la loro opera a una Ong. Giovani, spensierati, forse poco informati della situazione in rapido deterioramento del Burkina Faso, ma anche sfortunati: nel loro caso pare siano incappati in una banda di criminali. Non sarebbero stati un target predeterminato, come nel tuo caso, Silvia. Sulla loro sorte si sa ancora meno che su di te. Nei mesi scorsi, fonti del governo burkinabé avevano affermato che i due ragazzi sarebbero stati portati in Mali, ma non ci sono conferme ufficiali.
Il 25 settembre il Journal de Montreal riportava una dichiarazione del ministro degli Esteri canadese Chrystia Freeland, secondo cui i due ragazzi sarebbero vivi, ma senza fornire altri dettagli “per proteggere la salute e la sicurezza di Edith”. Il governo canadese – dichiarava Freeland – starebbe lavorando sodo con la propria intelligence e in collaborazione con l’Italia. Noi però nulla sappiamo delle attività delle nostre autorità.
Vivo sarebbe anche padre Pierluigi Maccalli, missionario della Società delle missioni africane, rapito in Niger nel settembre 2018. Un commando armato aveva assaltato la sua missione di notte, portandolo via. Si pensa siano stati jihadisti, forse provenienti dai vicini Burkina Faso o Mali. Poche le certezze, anche nel suo caso. Il vescovo della capitale Niamey ha riferito all’Agi che Maccalli è vivo e sta bene, ma non ha potuto fornire altri dettagli “per motivi di sicurezza”.
Anche padre Pierluigi, come i giovani Silvia e Luca, è un altro volto della “meglio Italia”, quella che spesso dimentichiamo, o che consideriamo di serie B. Il volto di uomini e donne che (per fede o per filantropia) mettono in gioco la propria vita, scelgono di abbandonare le proprie certezze e un’esistenza comoda per provare a costruire un mondo un po’ meno ingiusto. Ce ne ricordiamo troppo poco. E solo nei momenti bui.